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Tra la foresta di latifoglie e la tundra si trova la taiga, o foresta di conifere, che si estende dall’Europa settentrionale alla Siberia e al Canada, occupando quindi tutta la parte settentrionale del globo. Taiga è un termine russo che significa “foresta di conifere”. Questa area è caratterizzata da un clima piuttosto rigido di inverno (anche -30°C) e fresco in estate (si possono raggiungere al massimo i 20C°). Nella taiga siberiana sono frequenti temperature di -60°C. L’escursione termica annua è piuttosto rilevante. FONTE
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A sud della taiga troviamo la foresta temperata a latifoglie o foresta decidua, che si estende per gran parte dell’Europa, della Cina e degli Stati Uniti, occupando circa il 5 % delle terre emerse. L’aggettivo deciduo deriva dal latino de cadere e si riferisce al fatto che le piante perdono le foglie durante la stagione fredda: sono piante caducifoglie. In queste aree, le stagioni presentano differenze di temperatura molto accentuate: caldo umido in estate e freddo in inverno. La caduta delle foglie durante l’inverno serve per evitare un’inutile perdita di acqua per traspirazione. Il clima è caratterizzato da una caduta di pioggia di circa 300-1200 mm, distribuita regolarmente durante tutto l’anno; non c’è una stagione secca. L’estate generalmente dura dai 4 ai 6 mesi ed è molto produttiva per la vegetazione, mentre in inverno la maggior parte delle piante interrompe la propria crescita. Gli inverni sono comunque più miti rispetto a quelli delle latitudini più elevate: anche nelle giornate più fredde le minime giornaliere mediamente non scendono mai al di sotto di -2°C. FONTE Le foreste tropicali o pluviali sono quelle formazioni boschive che si sviluppano alle latitudini comprese tra il Tropico del Cancro (23° e 27’ a Nord) e quello del Capricorno (23° e 27’ Sud). Questa area è caratterizzata da una temperatura media di circa 25°C, con oscillazioni di 2-3 gradi al massimo e con precipitazioni abbondanti (superiori a 1500 millimetri l’anno). In alcune foreste la quantità di pioggia annuale può raggiungere persino il valore di 11.000 millimetri, anche se nella maggior parte delle zone è di 2.500 millimetri. Il termine che meglio esprime le condizioni di questa foresta è, infatti, “pluviale”. Alcune foreste sono caratterizzate da piogge brevi, ma quotidiane (foreste pluviali o equatoriali); altre (Sud-Est asiatico) sono soggette a periodi di relativa siccità e periodi di pioggia abbondante (foreste tropicali o monsoniche). Tuttavia, per semplificare, in questo contesto i termini “pluviale” e “tropicale” verranno utilizzati indifferentemente. FONTE La barriera corallina, chiamata anche “reef”, costituisce uno degli ecosistemi più ricchi di specie dell’intero pianeta. E’ un’estesa e imponente formazione calcarea di origine animale dai mille colori e dalle svariate forme. I responsabili di questo complesso bioma sono gli antozoi madrepori, conosciuti con il nome di “coralli costruttori”. I coralli o madrepore sono costituiti da piccoli polipi di dimensioni variabili (da pochi millimetri ad alcuni centimetri), circondati da un calice calcareo detto “corallite” che presenta forma differente nelle diverse specie. All’interno di ogni polipo vivono delle alghe unicellulari chiamate “zooxantelle”, che conferiscono una colorazione bruno-verdastra. Questa particolare associazione è detta “simbiosi mutualistica”, il che significa che entrambe le specie hanno un vantaggio nel vivere insieme. Le alghe infatti, grazie alla fotosintesi clorofilliana, forniscono al polipo energia sotto forma di zuccheri, producono ossigeno ed eliminano anidride carbonica (che potrebbe formare acido carbonico e danneggiare lo scheletro calcareo dei polipi). In cambio, il polipo offre protezione alle microscopiche e numerosissime alghe ospiti. Ogni centimetro quadrato di madrepora arriva a contenere circa un milione di alghe zooxantelle. Le barriere coralline sono costituite dal carbonato di calcio (CaCO3) utilizzato dai polipi dei coralli per edificare la propria struttura di sostegno; i polipi assorbono questa sostanza dal mare e la fissano allo scheletro esterno. Le formazioni coralline si sviluppano in massima parte tra la superficie dell’acqua e i trenta metri di profondità. Sono tre le condizioni ambientali necessarie al suo sviluppo:
FONTE Questo tipo di ambiente è caratterizzato da estati calde e secche e da inverni miti e piovosi. Questo influenza notevolmente la vegetazione, che è quindi caratterizzata da piante basse, legnose, perenni, a struttura di tipo sclerofitico, cioè con foglie piccole e dure adattate a resistere alla siccità estiva. Per questo motivo la macchia mediterranea è chiamata anche “foresta a sclerofille” (skleros = duro, phyllon = foglia). La piovosità totale annua è di circa 250-500 millimetri e interessa soprattutto i mesi invernali. In estate la temperatura media mensile è spesso superiore ai 20 °C e in questo bioma in inverno il gelo è molto raro. FONTE La savana è un tipo di prateria costituita da piante erbacee e arbustive a rapido sviluppo, alle quali si accompagnano gruppi di grandi alberi a foglie caduche. Il termine savana deriva da un termine indigeno caraibico che indica “una distesa erbosa, più o meno piatta, in cui crescono piante erbacee che possono essere alte anche più di un uomo”. Le savane separano la foresta tropicale dalle zone aride e desertiche e si possono dividere in “savana umida” con più di 1200 mm annui di pioggia, “savana arida” con 500-1100 mm annui e, infine, “savana spinosa” con valori inferiori. Nel caso della savana umida e di quella arida, nonostante le precipitazioni siano sufficienti per la crescita di foreste, il caldo provoca una evaporazione così forte da non permettere l’instaurarsi di un clima sufficientemente umido. Si deve aggiungere anche il fatto che le piogge sono concentrate in pochi mesi all’anno (stagione delle piogge), mentre per gli altri mesi si ha siccità (stagione secca) e questo impedisce la crescita di piante ad alto fusto. FONTE Il deserto (dal latino deserere che significa abbandonare) è un habitat caratterizzato da una bassa piovosità. In molti deserti la piovosità annua è inferiore ai 50 mm, ma può essere anche nulla. In questo ecosistema, la scarsità d’acqua è il fattore ecologico principale che influenza la vita, sia vegetale sia animale. Oltre alla scarsità delle precipitazioni, anche la loro variabilità annua influisce fortemente sulla vita: per avere un termine di paragone, basta rilevare che in Europa il valore delle precipitazioni varia annualmente del 20%, mentre nel Sahara arriva a 80-150%. Questo comporta violenti scrosci saltuari, durante i quali può cadere più pioggia che in vari anni consecutivi. I deserti possono essere freddi o caldi. I deserti freddi si trovano ad altitudini elevate, dove in inverno la temperatura arriva ad essere sottozero, come il Deserto di Gobi, protetto dalle masse di aria che portano piovosità da alte catene montuose. Nei deserti caldi, la temperatura atmosferica diurna può arrivare a 50°C, mentre quella della superficie della sabbia può salire fino a 90°C. Durante la notte, il suolo e l’aria si raffreddano rapidamente con escursioni di oltre 20°C. In un ambiente così inospitale, tutti gli esseri viventi devono essere altamente specializzati: per ovviare alla scarsa presenza di acqua, si sono evolute le più svariate forme di adattamento anche se la biodiversità è comunque bassa, poiché in 150.000 km2 (pari alla metà dell’Italia) si possono incontrare da un numero minimo di 20 specie di piante ad un massimo di 400. FONTE |
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March 2020
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