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Gli Unni erano un popolo nomade di origine turco-mongolica. Le leggende hanno dipinto queste genti come feroci cavalieri riuniti in enormi eserciti e armati di archi di corno, di frecce d’osso, di lacci e di reti. In realtà sembra che gli Unni fossero costituiti da una miriade di piccole bande pronte tanto a coalizzarsi quanto a combattersi. Sempre secondo la leggenda, gli Unni trascorrevano la vita a cavallo e vestivano pelli di animali selvaggi che cambiavano solo quando erano ormai imputridite. Il guerriero unno più noto è senza dubbio Attila che fu re degli Unni a partire dal 443 e che, per la sua leggendaria ferocia, fu soprannominato il “Flagello di Dio”. Durante il suo regno Attila sottomise molte popolazioni germaniche e latine e riuscì a costituire una potenza militare tale da imporre tributi agli imperi d’oriente e d’occidente.
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La tundra è un ecosistema sostanzialmente formato da paludi congelate e bassa biodiversità per quanto riguarda la vegetazione. Tuttavia è uno degli habitat più sensibili al mondo, infatti, alcuni studiosi credono che il riscaldamento globale causato dall’effetto serra, possa devastare le regioni artiche, compresa la tundra che si trova al loro interno. Un terzo del carbonio presente sul suolo terrestre si trova nel permafrost delle tundra e quindi, quando il suolo congelato inizia a sciogliersi, il contenuto organico inizia a decomporsi, rilasciando in aria anidride carbonica che va ad incrementare l’effetto serra antropico. Inoltre lo scioglimento del permafrost potrebbe influire sulle specie vegetali e animali che vivono nella tundra.
L’inquinamento dell’aria potrebbe inoltre causare nuvole di smog che contaminerebbero i licheni, una risorsa alimentare fondamentale per le specie animali che vivono in questo ecosistema particolare. Inquinamento a lunga distanza Benché lontana e sperduta, anche la tundra risente degli effetti negativi di alcune attività umane. I problemi più importanti sono dovuti all’inquinamento legato alle attività di estrazione. Di recente, la portata dei principali fiumi siberiani, il Lena e lo Yenisey, è aumentata notevolmente nonostante la contemporanea diminuzione delle precipitazioni. Secondo i ricercatori, l’acqua che gonfia i fiumi deriva dalla tundra. Infatti recenti studi hanno dimostrato che il permafrost si sta assottigliando, probabilmente a causa del surriscaldamento globale del pianeta. L’aumento della quantità di acqua dolce che sfocia nell’oceano Artico potrebbe alterare la salinità del mare e mettere a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi acquatici. FONTE
L’intervento dell’uomo altera i cicli naturali di ricostituzione dell’ambiente forestale, ne modifica la struttura e la composizione in termini di specie.
Sebbene la superficie forestale sia aumentata nel corso del 20° secolo, è diminuita la quantità di foreste allo stato naturale. In una foresta utilizzata per la produzione di legname, viene generalmente favorita la crescita di una specie (spesso pino silvestre o abete rosso nel caso della Finlandia) e si tende all’eliminazione delle altre. Inoltre, attraverso l’abbattimento periodico, viene abbreviata la vita degli alberi ed eliminato il legno morto. Ne risulta una foresta tendenzialmente con una sola specie di alberi coetanei e sensibilmente più giovani rispetto a quelli delle foreste allo stato naturale. Tuttavia, il rimboschimento riduce l’impatto delle industrie legate allo sfruttamento del legno e permette la salvaguardia di altre foreste naturali, influenza positivamente il clima, il sistema idrico e il ciclo dell’acqua e, in generale, la qualità della vita. FONTE
Le attività connesse al turismo costituiscono il settore economico più vasto al mondo, contribuendo, direttamente e indirettamente, approssimativamente al 7% della produzione mondiale e fornendo milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Per molti paesi il turismo è una delle maggiori fonti di reddito e di lavoro. Diventa allora importante sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo al disturbo che un turista reca inevitabilmente all’ambiente con cui interagisce e promuovere un turismo responsabile, o ecoturismo. Esso, infatti, ha la caratteristica di preservare le ricchezze naturali, e una delle sue azioni consiste nell’identificare i modi per minimizzare gli effetti negativi.
L’Organizzazione Mondiale del Turismo, le Nazioni Unite e altri organismi internazionali hanno individuato le principali condizioni che un progetto di ecoturismo deve soddisfare:
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Per secoli gli europei hanno creduto che le foreste tropicali dell’Africa centrale fossero inospitali e insidiose. In realtà, nel cuore della foresta, in Zambia, Camerun, Gabon, Congo e Repubblica centrafricana, vivono popolazioni che considerano la foresta come una dimora protettiva e generosa. Sono tribù di cacciatori e raccoglitori dalla bassa statura e dalla muscolatura poco possente per meglio adattarsi all’ambiente. Recenti studi hanno messo in evidenza che le loro condizioni nutritive sono migliori di quelle di altri popoli dell’Africa subsahariana. Vivono abitualmente in gruppi di 15 – 60 persone che cacciano e raccolgono prodotti vegetali e miele. Conoscono perfettamente la foresta e i suoi abitanti, sia animali che vegetali. In particolare sono in grado di sfruttare le proprietà specifiche di migliaia di piante, che usano per nutrirsi, produrre veleni, alleviare il dolore, curare le ferite e gli stati febbrili. I prodotti della foresta vengono raccolti in cesti, portati sulla schiena soprattutto dalle donne, in grado di sopportare pesi pari alla metà del loro peso corporeo. Il dono più prezioso della foresta, detto anche “oro liquido”, è il miele che viene raccolto anche a 30 metri dal suolo arrampicandosi con liane e lacci. Gli uomini portano con sé un tizzone ardente racchiuso in grandi foglie, il cui fumo viene utilizzato per stordire le api. Alle donne e ai bambini è riservato il ruolo di raccoglitori. I popoli africani della foresta più rappresentativi sono i Mbuti, gli Twa, i Baka e gli Aka. In particolare i Mbuti hanno ideato una tecnica di caccia molto particolare: tutti gli uomini della tribù, disposti l’uno accanto all’altro, alzano le reti in modo da formare una specie di trappola semicircolare, lunga anche parecchi metri. Le donne, con l’aiuto dei cani, sbattono rumorosamente gli arbusti e spingono gli animali verso la rete. Gli uomini attendono in piedi, pronti a colpire gli animali che rimangono intrappolati. I Baka e gli Aka utilizzano invece arco e frecce, strumenti più recenti rispetto all’antica balestra. Le frecce sono intrise di una sostanza che paralizza la preda senza avvelenarla.
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March 2020
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