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Per secoli gli europei hanno creduto che le foreste tropicali dell’Africa centrale fossero inospitali e insidiose. In realtà, nel cuore della foresta, in Zambia, Camerun, Gabon, Congo e Repubblica centrafricana, vivono popolazioni che considerano la foresta come una dimora protettiva e generosa. Sono tribù di cacciatori e raccoglitori dalla bassa statura e dalla muscolatura poco possente per meglio adattarsi all’ambiente. Recenti studi hanno messo in evidenza che le loro condizioni nutritive sono migliori di quelle di altri popoli dell’Africa subsahariana. Vivono abitualmente in gruppi di 15 – 60 persone che cacciano e raccolgono prodotti vegetali e miele. Conoscono perfettamente la foresta e i suoi abitanti, sia animali che vegetali. In particolare sono in grado di sfruttare le proprietà specifiche di migliaia di piante, che usano per nutrirsi, produrre veleni, alleviare il dolore, curare le ferite e gli stati febbrili. I prodotti della foresta vengono raccolti in cesti, portati sulla schiena soprattutto dalle donne, in grado di sopportare pesi pari alla metà del loro peso corporeo. Il dono più prezioso della foresta, detto anche “oro liquido”, è il miele che viene raccolto anche a 30 metri dal suolo arrampicandosi con liane e lacci. Gli uomini portano con sé un tizzone ardente racchiuso in grandi foglie, il cui fumo viene utilizzato per stordire le api. Alle donne e ai bambini è riservato il ruolo di raccoglitori. I popoli africani della foresta più rappresentativi sono i Mbuti, gli Twa, i Baka e gli Aka. In particolare i Mbuti hanno ideato una tecnica di caccia molto particolare: tutti gli uomini della tribù, disposti l’uno accanto all’altro, alzano le reti in modo da formare una specie di trappola semicircolare, lunga anche parecchi metri. Le donne, con l’aiuto dei cani, sbattono rumorosamente gli arbusti e spingono gli animali verso la rete. Gli uomini attendono in piedi, pronti a colpire gli animali che rimangono intrappolati. I Baka e gli Aka utilizzano invece arco e frecce, strumenti più recenti rispetto all’antica balestra. Le frecce sono intrise di una sostanza che paralizza la preda senza avvelenarla.
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Nella foto: famiglia di Negritos
Molti sono i popoli delle foreste pluviali asiatiche: Yumbri in Thailandia, Pigmei, Negritos e Sarawak in Malesia, Tasaday nelle Filippine, Gajo, Mentawai, Badui, Tenggerese in Indonesia, ecc. Tutti questi popoli sono stati costretti nel corso del tempo a ritirarsi nelle foreste in seguito all’arrivo di popolazioni più evolute che si sono insediate nelle zone coltivabili. Da allora hanno sviluppato diverse strategie per sopravvivere. La caccia è l’attività principale: le punte delle frecce sono intrise di veleni naturali in grado di uccidere la preda. Sono abili cacciatori e con una cerbottana sono in grado di abbattere animali a distanze anche maggiori di 50 metri. In Nuova Guinea il maiale occupa un posto di particolare rilevanza nell’economia locale, in quanto rappresenta l’unica consistente fonte di proteine. Possederne uno è indice di ricchezza e di prestigio e la sua uccisione richiede una cerimonia che attira tribù vicine e lontane. Poiché l’ambiente della foresta è ricchissimo di vegetazione, questi popoli integrano la loro alimentazione con frutti e piante. Dalla vegetazione ricavano anche medicine sfruttando profonde conoscenze acquisite nel corso di secoli, e attirano botanici e agronomi da tutto il mondo. FONTE
Uno dei più importanti mercati legati alla foresta è il commercio del legno. Tra i legni più utilizzati ricordiamo, per esempio, il Teak, il Mogano e l’Ebano. Le foreste si trovano in genere in paesi poveri dove la necessità economica porta a vendere il legno presente in abbondanza a prezzi bassissimi. L’intenso sfruttamento che deriva dal basso costo di questa risorsa e dalla sua abbondanza mette a dura prova la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi presenti in questo ecosistema. Alberi secolari vengono abbattuti per l’industria del legname, del mobile o della carta. L’Italia, per esempio, è il secondo importatore mondiale di legno dal Bacino del Congo, ed importa il 60% di tutti i tronchi di Ayous abbattuti in quell’area. Il mercato illegale di legname rappresenta circa il 20% del mercato mondiale, é difficilmente controllabile, e minaccia ulteriormente la sopravvivenza di questo ecosistema. Le proporzioni del disboscamento sono impressionanti e il fenomeno ha assunto gli aspetti più drammatici in Africa. Dal 1990 al 2000, l’Africa ha perduto oltre 55 milioni di ettari di foresta con un incremento del 25% del tasso di distruzione rispetto al 1992. I paesi della regione della foresta africana hanno aumentato la loro produzione di legno del 58% dalla metà degli anni novanta. Nello stesso periodo non c’è stata alcuna significativa crescita delle aree di foresta destinate alla conservazione; al contrario in questo periodo diversi milioni di ettari di foresta incontaminata sono stati ceduti alle compagnie del legno per le operazioni di estrazione industriale di tronchi. L’Indonesia e la Nuova Guinea hanno perso dal 60 al 72 % delle loro foreste, mentre nella regione la produzione di legno tra il 1996 e il 1998 è aumentata del 25% rispetto al decennio precedente. Si stima che in Indonesia, il 70% del legno grezzo prodotto per le segherie locali sia estratto illegalmente.
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Circa il 10% delle attuali sostanze medicinali deriva da piante medicinali tropicali; tra queste il chinino, curari, e vari tipi di steroidi. Tremila piante hanno proprietà anticancro e il 70% di queste si trova nelle foreste tropicali. Tra le piante medicinali presenti nelle foreste umide vi è la Samambaia (Polypodium lepidopteris e Polypodium decumanum), una felce che cresce nelle foreste piovose del sud America, la cui parte terapeutica è rappresentata dal rizoma e dalle radici. Nell’Amazzonia, il popolo Boras usa le foglie per curare la tosse, mentre altri impiegano il macerato del rizoma contro la febbre, la radice invece viene utilizzata in infuso per alcuni problemi renali. La medicina tradizionale brasiliana riconosce per la Samambaia proprietà sudorifera, antireumatica, tonica, espettorante, utili nella cura di bronchiti, tosse ed altre affezioni delle vie respiratorie, mentre in Perù viene anche utilizzata nella cura delle infezioni urinarie e per numerosi problemi cutanei. Il popolo amazzonico dei Guarnì e quello dei Tupi chiamano una pianta conosciuta con il nome di Pau d’Arco “Tajy“, che significa “avere forza e vigore”; la usano per curare malaria, anemia, malattie respiratorie, febbre, infezioni, arterie e reumatismi, e persino morsi di serpente. Il Pau d’Arco è un grosso albero delle foreste piovose sudamericane che, botanicamente, corrisponde alla Tabebuia spp.
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Le foreste aiutano a sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera e lo trasformano attraverso la fotosintesi in carbonio, che poi “immagazzinano” sotto forma di legno e vegetazione. Questo processo è chiamato “sequestro del carbonio”. In genere, gli alberi sono costituiti per circa il 20% del loro peso da carbonio e l’intera biomassa forestale agisce come un “serbatoio di assorbimento del carbonio”. Anche la materia organica che si trova nel suolo delle foreste, come ad esempio l’humus che deriva dalla decomposizione del materiale vegetale morto, funziona come un serbatoio di carbonio. In questo modo le foreste sono in grado di catturare e immagazzinare un’enorme quantità di carbonio, infatti, secondo la FAO le foreste del pianeta ed il loro sottobosco assorbono in totale più di un trilione di tonnellate di carbonio, il doppio di quello che si trova nell’atmosfera. Nel bilancio tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica, un ecosistema è considerato un pozzo (carbon sink) quando assorbe più anidride carbonica di quanta ne emette. Si definisce fonte (carbon source), invece, quando un ecosistema emette più CO2 di quanta ne assorbe. E’ detto Carbon stock il sequestro di carbonio nella biomassa.
In un bosco il carbonio è stoccato in comparti:
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Le foreste tropicali sono ricche di insetticidi naturali, quali, ad esempio, le foglie di tabacco, che potrebbero sostituire i più nocivi prodotti di sintesi attualmente largamente usati in tutto il mondo. Si ricorre a questi prodotti chimici poiché la loro produzione comporta costi notevolmente inferiori; tenendo conto della loro nocività sarebbe opportuno convertire il mercato ai prodotti di origine vegetale. Per ora la foresta tropicale soddisfa solo una minima percentuale del mercato mondiale.
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Non si conosce con certezza il numero di specie viventi sulla Terra. Alcuni studi suggeriscono che ci siano dai 10 ai 50 milioni di specie viventi e fino ad ora ne sono state classificate solo un milione e mezzo. Queste cifre, nel complesso, prendono il nome di biodiversità (diversità della vita). Il termine biodiversità è utilizzato per descrivere il numero e la varietà di organismi presenti sulla Terra. Viene definita in termini di patrimonio genetico (con riferimento alla variazione dei geni tra le specie), specie (con riferimento alla varietà delle specie in una regione) ed ecosistemi. Benché la foresta tropicale sia uno degli ambienti più degradati a causa delle attività umane nel sec. XX, mantiene uno dei valori più alti di biodiversità. Si stima che più del 50% della biodiversità della biosfera sia localizzato in questo ecosistema, che copre solo il 7% della Terra: su un solo albero in una riserva naturale peruviana sono state osservate 43 specie diverse di formiche, lo stesso numero presente in tutta la Gran Bretagna. In 10 aree di foresta da 1 ettaro, selezionati a caso nel Borneo, si sono contate 700 specie di alberi, circa lo stesso numero presente in tutto il Nord America. In un territorio grande solo la metà di San Francisco ci sono 545 specie di uccelli, 100 specie di libellule, 729 specie di farfalle. La spiccata varietà di molte specie animali, quali ad esempio gli uccelli, può essere parzialmente spiegata dal fatto che ogni singola sottospecie tende ad abitare in uno specifico strato della foresta. Nell’arco di alcune centinaia di milioni di anni, si sono verificate 5 diverse estinzioni di massa, di cui la più famosa è sicuramente quella dei dinosauri, avvenuta circa 65 milioni di anni fa. Oggi stiamo assistendo ad una scomparsa di specie graduale ma costante, causata dall’uomo, che procede ad un ritmo stimato nettamente superiore a quello naturale.
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Da oltre cento milioni di anni la foresta tropicale svolge un ruolo di importanza vitale: ha una formidabile e continua funzione biologica e geopedologica indispensabile per la vita dell’uomo e degli animali. In primo luogo, gli alberi proteggono il suolo dall’erosione della pioggia e contribuiscono alla circolazione terra-aria dell’acqua. La traspirazione rappresenta una via per trasferire acqua dal suolo all’aria: essa avviene attraverso i pori delle foglie, gli stomi. In una foresta con fitta copertura vegetale, più dell’ 80% dell’acqua lascia il suolo per traspirazione. Il vapore acqueo così prodotto dalla foresta tropicale e riversato nell’aria mantiene il clima umido e la vegetazione abbondante. Gli alberi, inoltre, sottraggono dall’aria anidride carbonica, uno dei gas implicati nell’effetto serra. Attraverso la fotosintesi clorofilliana, infatti, le piante, utilizzando l’energia della luce del sole, fissano l’anidride carbonica e liberano ossigeno. Un’ulteriore funzione di questo ecosistema è quella di laboratorio per l’evoluzione delle specie. Infatti, molte varietà di piante, arbusti, muschi, funghi si sviluppano lentamente per occupare i piccoli interstizi di questo ecosistema. Ne risulta un’estrema diversificazione. Ad esempio, questa foresta conta più di 300 varietà di uccelli mosca e la flora mostra una molteplicità analoga. Si aggiunga che il bacino amazzonico costituisce la più grande riserva di acque dolci della terra (circa un quinto delle acque dolci esistenti sul globo terrestre).
FONTE Fino al secolo scorso, le foreste tropicali avevano un’estensione superiore a quella attuale. Reperti fossili provano che le foreste si originarono nel Terziario (da 65 a 2 milioni di anni fa) nelle regioni dell’Asia sudorientale, e che la loro flora non era diversa da quella attuale. Alcuni aspetti della loro struttura nel tardo Pleistocene (dopo l’ultima glaciazione, 10.000 anni fa) ci sono noti grazie alla paleontologia (scienza che studia gli antichi esseri viventi attraverso i fossili) e alla biogeografia (studia la distribuzione geografica degli esseri viventi sulla superficie terrestre e i fattori che la provocano). Ultimamente, il passato di questo ecosistema è studiato grazie all’analisi dei pollini fossili e dei fitoliti (inclusioni di minerali in foglie, steli e frutti). L’espansione delle foreste tropicali maggiori si è probabilmente verificata nel periodo postglaciale. Lo studio della diversificazione e della distribuzione passata e presente delle specie viventi suggerisce che, nell’area amazzonica, esistessero dei tratti di foreste che interrompevano le praterie; quando queste “strisce” di foresta si unirono, le specie si diffusero in altre zone e le foreste raggiunsero l’attuale ricchezza biologica. In un passato lontano, le foreste tropicali ricoprivano anche paesi a nord, compresa la valle del Tamigi in Inghilterra, che era ricca di flora e fauna tropicale. Il susseguirsi dei cambiamenti climatici la fecero scomparire, mentre ai tropici le foreste tropicali sopravvissero e si ampliarono. FONTE Le fondamentali caratteristiche della fauna tropicale sono tre:
Ad ogni stratificazione della foresta, si trovano differenti habitat e quindi animali, a parte alcune eccezioni come, ad esempio, gli insetti che si trovano sia a terra, sia sulle chiome, sia negli strati intermedi. Partendo dal suolo e risalendo lungo le diverse stratificazioni fino al limite delle alte chiome, troviamo animali adattati ai diversi habitat presenti. Il suolo della foresta tropicale è caratterizzato dalla scarsità della piccola fauna ipogea (del sottosuolo), infatti sono scarsissimi i lombrichi e le larve sotterranee; più abbondanti cicale e coleotteri che si nutrono di radici e della linfa delle piante. Spesso si trovano montagnette di terra smossa al cui centro si intravede una galleria più o meno larga: è quel che resta dell’uscita di una larva di cicala che, dopo una lunga attesa, in certe specie durata oltre 10 anni, finalmente esce all’esterno per compiere la metamorfosi aggrappandosi alla base di un tronco e sfarfallando poco dopo. Al contrario della lunga vita sotterranea, quella alata dura raramente più di un anno. Gli animali che si trovano sul pavimento forestale sono soprattutto mammiferi scavatori (roditori e armadilli), scimmie terricole, boa e pitoni, rane, gallinacei, leopardi e giaguari, chiocciole e formiche, ragni e scorpioni. Il grande sviluppo verticale della vegetazione ha comportato per molte specie animali adattamenti sia arboricoli che aerei per raggiungere la gran parte delle risorse alimentari come foglie, fiori, semi e frutti che si trovano nelle alte chiome. In alcune aree tropicali (in Borneo, per esempio) le specie arboricole raggiungono il 45% rispetto al totale delle specie presenti; nelle foreste temperate questa percentuale risulta pari a solo 5 – 15%. Fanno parte degli adattamenti morfologici messi in atto da alcune specie le code prensili, muscolature sviluppatissime, unghie adatte a far presa su tronchi e rami (es. Pangolino arboricolo, Mamis spp. in Asia e in Africa). Uccelli della volta Gli uccelli (per esempio il pappagallo Ara macao) mostrano invece adattamenti al volo in un ambiente fitto e intricato: ali corte e arrotondate, code spesso lunghe per meglio direzionarsi. Sotto la volta e sui rami alti si trovano scimmie, bradipi dalle grandi e robuste unghie con le quali si appendono ai rami, piccoli uccelli che si nutrono di nettare (colibrì in America, nettarini in Africa), uccelli dai colori variopinti (tucani, pappagalli, uccelli del paradiso), serpenti arboricoli, grandi farfalle, pipistrelli (volpe volante). Animali planatori Alcuni adattamenti alla vita arboricola considerati “estremi” sono rappresentati dalle specie “volanti” che si trovano, ad esempio, nella foresta del Borneo: tali specie sfruttano una membrana tesa tra il corpo e gli arti superiori che crea una superficie larga abbastanza da sostenere l’animale in volo. Oltre alle varie specie di scoiattoli volanti (Petaurista spp. e altre) distribuite anche in altre regioni e al Lemure volante o Cinocefalo (Cynocephalus variegatus), esistono ancora una raganella volante (Racophorus nigropalmatus), un serpente volante (Chrysopelea pelias) e una lucertola volante (Draco volitans). Questi animali sono tutti dotati di membrane ed estroflessioni più o meno piccole che permettono loro di planare dall’altezza delle chiome della foresta. Le distanze coperte sono considerevoli: circa 50 metri per il serpente e oltre 500 metri per il Cinocefalo. In questo bioma i grandi mammiferi sono relativamente pochi. Contrariamente a quelli delle savane, non formano branchi, né cacciano in gruppo, ma vivono da soli o in coppia. Tra la vegetazione lussureggiante, il raggio visivo è molto limitato e perciò molte specie animali fanno affidamento, più che sulla vista, sull’olfatto o sull’udito (specialmente insetti, uccelli, rane, proscimmie e scimmie). Nella foresta tropicale la maggior parte delle attività degli animali si svolge all’alba, al crepuscolo e durante la notte quando iniziano ad uscire animali come i pipistrelli, le raganelle (Dendrobates spp.) e i lemuri che riempiono la foresta di rumori. FONTE1 FONTE2 FONTE3 |
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