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Un’importante attività umana legata alla savana è sicuramente il turismo: la savana, e in particolare i parchi naturali offrono la possibilità di osservare, filmare e fotografare una natura esotica particolarmente affascinante. I safari, organizzati all’interno di riserve faunistiche, permettono di catturare con l’obiettivo o, più semplicemente, di osservare animali magnifici nel loro ambiente naturale. Il turismo diventa quindi una risorsa economica importantissima per questi territori spesso poveri.
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Nelle zone desertiche l’agricoltura è praticata soltanto nelle oasi. All’origine c’è spesso una singola palma, piantata in uno scavo del terreno e circondata da rami secchi per proteggerla dalla sabbia. Con il tempo si sviluppano estese coltivazioni, ma l’acqua necessaria alla crescita della vegetazione non scaturisce liberamente da sorgenti. E’ necessaria un’opera umana faticosa e rigorosa per sfruttare la riserva idrica presente nel sottosuolo. Nel corso del tempo, l’uomo ha costruito vasche sotterranee per raccogliere l’acqua, e lunghi canali per trasportarla. Tali strutture necessitano di una continua manutenzione per eliminare depositi di sabbia o di pietre che ostruiscono il flusso. Ogni oasi ha un caratteristico sistema di irrigazione: per esempio, a Ghardaya (valle del Mozab) nel Sahara, l’acqua scorre sotto il letto asciutto di un antico fiume. Oltre un milione di palme da dattero vengono irrigate grazie ad una sofisticata struttura che gestisce il flusso sotterraneo. Si tratta di un capillare sistema di dighe, sbarramenti e pozzi che canalizzano, smistano e dosano l’acqua, facendo sì che in tutti i giardini ne arrivi la giusta quantità. In altre oasi, come quelle che si trovano nella regione del Souf, dove la falda freatica è molto vicina alla superficie, i contadini hanno ideato un altro metodo ingegnoso per bagnare i palmeti: anziché irrigare la superficie con pozzi e canali, scavano per le palme dei veri e propri crateri, in modo tale che queste possano raggiungere direttamente con le radici l’acqua della falda: uno stratagemma che evita le dispersioni dovute all’evaporazione e offre alle piantagioni una valida protezione contro il vento e la sabbia.
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Dalle antiche e leggendarie dinastie si sono originate le attuali popolazioni presenti in Russia, Mongolia, Cina, ecc. Nei territori della steppa rimangono oggi solo poche etnie che mantengono ancora oggi antichi stili di vita. Gli Yi vivono nel sudovest della Cina, nelle province dello Yunnan, del Sichuan, del Guizhou e dello Guangxi e sono oggi circa 6 milioni e mezzo. La loro terra non consente di insediarsi stabilmente: gli Yi sono un popolo nomade che crea i propri villaggi itineranti soprattutto intorno alle oasi o ai laghi che punteggiano il territorio. Il centro della vita della tribù è la tenda. Chiamata yurta, essa è una cupola tonda. Le pareti diritte sono fatte d’intelaiature di asticelle, tenute insieme con strisce di cuoio. Essendo gli Yi nomadi, l’intera yurta è smontabile e portatile. Quando è smontata (occorrono circa due ore), la yurta può essere caricata su tre cammelli o quattro cavalli. Arrivando ad un nuovo campo, la yurta può essere montata in tre ore da due persone. È solida, capace di resistere a forti venti e persino ad una tigre sul tetto. La yurta non è la sola cosa importante della vita nomade. I cavalieri delle steppe sono pastori e cacciatori e il cavallo è vitale non solo per essere cavalcato. Il latte delle cavalle, trasformato in cagliata, in polvere, fermentato o semplice, è un cibo importante insieme alla carne stessa. La pelle dell’animale è inoltre trasformata in stivali di pelle, sacche, ciotole, borse; servono per la guerra, e misurano parte della ricchezza di un uomo. I cavalli non sono gli unici animali allevati dalle tribù. Pecore, vacche e buoi sono comuni in tutta la steppa. I cammelli sono usati particolarmente vicino alle regioni più aride. La vita di ogni singola tribù Yi è organizzata intorno al capo-tribù detto khahan. In generale, egli esercita la propria autorità solo all’interno della propria tribù, ma, eccezionalmente, può unire molte tribù attraverso le conquiste e la diplomazia. Altre tribù ancora possono aggregarsi spontaneamente sotto il suo governo, o per amicizia o per paura, fino a riunire una potente nazione di cavalieri guerrieri.
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I Sami, meglio conosciuti come Lapponi, vivono in un vastissimo territorio che si estende dalle coste della Norvegia fino alla penisola di Kola, in Russia. Vivono in un ambiente particolarmente difficile: nel cuore delle loro terre, a Karesuando in Svezia, la temperatura può scendere fino a 45° sotto zero. I Sami sono pastori nomadi e la loro economia è legata all’allevamento delle renne. Il nomadismo è dovuto alle particolari esigenze alimentari della renna. Questi grandi erbivori si nutrono prevalentemente di licheni a crescita lentissima, quindi necessitano di un territorio molto vasto per sopravvivere. I Lapponi seguono i loro animali mentre si spostano alla ricerca di nuovi pascoli. L’origine dei Sami non è ancora del tutto chiara: secondo alcuni sono europei, mentre secondo altri provengono dall’Asia. Le popolazioni nomadi di Lapponi vivono ancora in tende di pelle di renna simili, nell’aspetto, a quelle dei nativi americani. La cena rappresenta il loro pasto principale. La cucina tradizionale sami si basa essenzialmente sulla carne di renna e sul pesce.
Renne per la vita Le renne sono gli unici animali addomesticati nella tundra. Sono stati alla base dell’economia di molti popoli e ancora oggi, intere famiglie di Lapponi vivono di ciò che offre loro questo grande erbivoro. Dalla renna si ricavano alimenti, pelli, bevande, corna e ossa per la costruzione di utensili. Viene anche utilizzata come mezzo di trasporto. FONTE |
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March 2020
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