I grandi uccelli non volatori sono diffusi in quasi tutti i continenti del sud del mondo. Fin dai tempi di Darwin gli scienziati si domandano quale sia il rapporto tra le varie specie che hanno preferito la terraferma ai cieli.
Struzzi, emù, casuari, nandù e kiwi non sanno volare. A differenza della maggior parte degli uccelli, le loro ossa pettorali piatte non presentano la carena dello sterno, sulla quale si inseriscono i possenti muscoli necessari per il volo e le loro ali, troppo gracili, non sono in grado di sollevare da terra corpi così pesanti. Questi uccelli non volatori, chiamati ratiti, sono chiaramente molto diversi dalle altre specie avicole.
Darwin stesso lo notò e sostenne che i ratiti erano legati gli uni agli altri. Il suo contemporaneo Thomas Huxley si accorse poi di un altro elemento che li accomunava: la disposizione delle ossa del palato era più simile a quella dei rettili che a quella degli altri uccelli. Più o meno nello stesso periodo un altro biologo, Richard Owen, assemblò i resti di un gigantesco scheletro fossile di un animale simile allo struzzo: si trattava del primo moa noto al mondo occidentale. Ma un dettaglio fastidioso lasciava perplesso Huxley: un altro gruppo di uccelli terricoli - i piccoli tinamidi, e diffusi nell'America del Sud - non sembrava avere legami né con i ratiti né con gli altri uccelli.
I tinamidi volano, ma non lo fanno volentieri. In più possiedono la carena dello sterno, il che suggerisce si siano evoluti come uccelli volatori nonostante le ossa del palato siano simili a quelle dei ratiti. A quale gruppo appartengono?
Gli scienziati hanno discusso la questione per 150 anni. Ora un nuovo studio sulla rivista Molecular Biology and Evolution ha finalmente chiarito il processo evolutivo dei tinamidi e degli uccelli che non volano, analizzando il più grande dataset molecolare a noi noto.
Gli scienziati hanno indagato quasi 1.500 frammenti di DNA di tinamidi, emù, struzzi, moa e altre specie. Dopo aver sabbiato e polverizzato un antico osso di moa -per estrarne chimicamente il DNA e sequenziarlo-, gli scienziati lo hanno confrontato con quello di altri uccelli e hanno impostato dei modelli computerizzati per simulare i percorsi dell'evoluzione a livello molecolare.
Gli studi precedenti, che avevano posto i tinamidi al margine dei gruppo dei ratiti, si erano basati solamente su tratti morfologici come i dettagli dello scheletro; altre ricerche basate su dati genetici limitati li avevano anch'esse legati agli uccelli non volatori. “Il dibattito, sostanzialmente, è tra i recenti dati molecolari e la morfologia”, commenta Allan Baker, leader dello studio. “Non possono essere valide entrambe le ipotesi”.
I risultati sono stati sorprendenti. Il tinamo si è evoluto all'interno dei ratiti e non come una linea separata. “Il DNA ci dice chiaramente che è strettamente imparentato con il moa” spiega Baker, che si è imbattuto nei fossili di moa per la prima volta quand'era un bambino, esplorando una grotta in Nuova Zelanda.
Le ossa del petto, delle zampe e delle gambe dei moa (oltre a qualche cranio) sono rimaste a lungo nascoste nel fango, luogo di riposo per tutti quegli animali inseguiti e poi macellati dagli esseri umani circa 12.000 anni fa. Oggi un gruppo di scheletri di Dinornis robustus torreggia sui visitatori del Royal Ontario Museum, dove Baker è curatore della sezione ornitologia.
Le nuove scoperte sull'evoluzione dei tinamidi ci permettono di dare uno sguardo alle origini dei ratiti. Secondo Baker è probabile che tutti questi uccelli discendano da un antenato volante comune, compresi i tinamidi, seppur questi ultimi abbiano mantenuto la capacità di volare. “È molto improbabile che i tinamidi abbiano ri-sviluppato questa abilità dopo essersi evoluti a partire da una specie non volante”, spiega Baker.
Lo studio permette di riconsiderare un'ipotesi spesso citata. Secondo gli scienziati, quando la parte meridionale di Pangea - il supercontinente originario - si spaccò in due, la popolazione degli antenati dei ratiti risultò frammentata. Ognuno dei gruppi risultanti si è poi evoluto separatamente, dando origine alle specie maestose e stravaganti che conosciamo oggi: gli struzzi in Africa, i nandù in Sud America, emù e casuari in Australia, gli estinti uccelli elefante del Madagascar, i kiwi e gli estinti moa della Nuova Zelanda. Questa ipotesi era stata ritenuta idonea a spiegare perché gli uccelli non volatori si fossero dispersi attraverso gli oceani. “Crescendo, abbiamo sempre sentito dire che i moa e i kiwi sono specie sorelle”, commenta Baker.
Ora invece sembra che ciascuna di queste specie sia arrivata in Nuova Zelanda separatamente, in quanto il nuovo studio non si allinea con le tempistiche della scissione della Pangea, più di 100 milioni di anni fa. I ratiti si sono infatti evoluti in linee separate tra i 90 e i 70 milioni di anni fa, mentre tinamidi e moa hanno preso una direzione evolutiva differente circa 45 milioni di anni fa. “Non possiamo escludere che le varie specie siano volate da un continente all'altro e abbiano poi perduto quella capacità individualmente”. Il dibattito su questo tema è sempre stato acceso, spiega Baker, “ma penso che questo studio vi abbia posto fine”.
FONTE
Darwin stesso lo notò e sostenne che i ratiti erano legati gli uni agli altri. Il suo contemporaneo Thomas Huxley si accorse poi di un altro elemento che li accomunava: la disposizione delle ossa del palato era più simile a quella dei rettili che a quella degli altri uccelli. Più o meno nello stesso periodo un altro biologo, Richard Owen, assemblò i resti di un gigantesco scheletro fossile di un animale simile allo struzzo: si trattava del primo moa noto al mondo occidentale. Ma un dettaglio fastidioso lasciava perplesso Huxley: un altro gruppo di uccelli terricoli - i piccoli tinamidi, e diffusi nell'America del Sud - non sembrava avere legami né con i ratiti né con gli altri uccelli.
I tinamidi volano, ma non lo fanno volentieri. In più possiedono la carena dello sterno, il che suggerisce si siano evoluti come uccelli volatori nonostante le ossa del palato siano simili a quelle dei ratiti. A quale gruppo appartengono?
Gli scienziati hanno discusso la questione per 150 anni. Ora un nuovo studio sulla rivista Molecular Biology and Evolution ha finalmente chiarito il processo evolutivo dei tinamidi e degli uccelli che non volano, analizzando il più grande dataset molecolare a noi noto.
Gli scienziati hanno indagato quasi 1.500 frammenti di DNA di tinamidi, emù, struzzi, moa e altre specie. Dopo aver sabbiato e polverizzato un antico osso di moa -per estrarne chimicamente il DNA e sequenziarlo-, gli scienziati lo hanno confrontato con quello di altri uccelli e hanno impostato dei modelli computerizzati per simulare i percorsi dell'evoluzione a livello molecolare.
Gli studi precedenti, che avevano posto i tinamidi al margine dei gruppo dei ratiti, si erano basati solamente su tratti morfologici come i dettagli dello scheletro; altre ricerche basate su dati genetici limitati li avevano anch'esse legati agli uccelli non volatori. “Il dibattito, sostanzialmente, è tra i recenti dati molecolari e la morfologia”, commenta Allan Baker, leader dello studio. “Non possono essere valide entrambe le ipotesi”.
I risultati sono stati sorprendenti. Il tinamo si è evoluto all'interno dei ratiti e non come una linea separata. “Il DNA ci dice chiaramente che è strettamente imparentato con il moa” spiega Baker, che si è imbattuto nei fossili di moa per la prima volta quand'era un bambino, esplorando una grotta in Nuova Zelanda.
Le ossa del petto, delle zampe e delle gambe dei moa (oltre a qualche cranio) sono rimaste a lungo nascoste nel fango, luogo di riposo per tutti quegli animali inseguiti e poi macellati dagli esseri umani circa 12.000 anni fa. Oggi un gruppo di scheletri di Dinornis robustus torreggia sui visitatori del Royal Ontario Museum, dove Baker è curatore della sezione ornitologia.
Le nuove scoperte sull'evoluzione dei tinamidi ci permettono di dare uno sguardo alle origini dei ratiti. Secondo Baker è probabile che tutti questi uccelli discendano da un antenato volante comune, compresi i tinamidi, seppur questi ultimi abbiano mantenuto la capacità di volare. “È molto improbabile che i tinamidi abbiano ri-sviluppato questa abilità dopo essersi evoluti a partire da una specie non volante”, spiega Baker.
Lo studio permette di riconsiderare un'ipotesi spesso citata. Secondo gli scienziati, quando la parte meridionale di Pangea - il supercontinente originario - si spaccò in due, la popolazione degli antenati dei ratiti risultò frammentata. Ognuno dei gruppi risultanti si è poi evoluto separatamente, dando origine alle specie maestose e stravaganti che conosciamo oggi: gli struzzi in Africa, i nandù in Sud America, emù e casuari in Australia, gli estinti uccelli elefante del Madagascar, i kiwi e gli estinti moa della Nuova Zelanda. Questa ipotesi era stata ritenuta idonea a spiegare perché gli uccelli non volatori si fossero dispersi attraverso gli oceani. “Crescendo, abbiamo sempre sentito dire che i moa e i kiwi sono specie sorelle”, commenta Baker.
Ora invece sembra che ciascuna di queste specie sia arrivata in Nuova Zelanda separatamente, in quanto il nuovo studio non si allinea con le tempistiche della scissione della Pangea, più di 100 milioni di anni fa. I ratiti si sono infatti evoluti in linee separate tra i 90 e i 70 milioni di anni fa, mentre tinamidi e moa hanno preso una direzione evolutiva differente circa 45 milioni di anni fa. “Non possiamo escludere che le varie specie siano volate da un continente all'altro e abbiano poi perduto quella capacità individualmente”. Il dibattito su questo tema è sempre stato acceso, spiega Baker, “ma penso che questo studio vi abbia posto fine”.
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