La sconcertante risposta della giornalista di Slate Emily Yoffe, che tiene la rubrica di consigli «Dear Prudence», a una lettrice infastidita dagli acciacchi del suo felino.
Il tuo gatto è vecchio o fa i capricci? Ammazzalo e vai in vacanza. E’ la sconcertante risposta della giornalista di Slate Emily Yoffe, tenutaria della rubrica di consigli “Dear Prudence” – come la canzone dei Beatles, e chissà che direbbe l’animalista Paul McCartney –, all’altrettanto sconcertante domanda di una lettrice. “Il mio gatto ha 18 anni e mi tormenta tutta la notte”, scrive la signora. «E’ sorda e senza denti. Quando alle tre del mattino piange perché ha fame, anche se mio marito o i miei figli le danno da mangiare, lei non tocca cibo se non ci sono anch’io. Se sbatto una porta per sfuggirle, si spaventa moltissimo. Ed è costosa: 200 dollari al mese tra farmaci e cibo, veterinario escluso. Sono anni che con la mia famiglia non facciamo una vacanza tutti insieme. O io o mio marito siamo costretti a rimanere a casa con lei, perché metterla in pensione costerebbe tra i 30 e i 50 dollari al giorno. Ma quando ho chiesto al veterinario di praticarle l’eutanasia si è rifiutato: dice che è un animale in salute, con i normali, gestibili acciacchi dell’età. E certo, è affettuosa, vivace, e i miei bambini la amano: ma mi sta rovinando la vita. Ucciderla dispiacerebbe molto, ma occuparsi di un animale che vive soprattutto di notte e ha necessità continue è una tortura».
La risposta. «Uccidi il gatto. Sei ostaggio delle sue pretese emotive – probabilmente aggravate da demenza senile. Il tuo gatto ha avuto una vita molto lunga. La tua sarà molto più breve se non ricominci a dormire e non ti prendi una vacanza. Certo che il tuo veterinario non vuole farle l’eutanasia: per lui il gatto è una gallina dalle uova d’oro. Ma se la porti al gattile più vicino e spieghi loro che ha 18 anni, è sorda, senza denti e molto malata, vedrai che tireranno fuori l’iniezione fatale. Ai bambini dirai che il gatto è molto malato, peggiora di giorno in giorno e che non vuoi che soffra (ok, forse lei non sta soffrendo, ma tu sì). So di cosa parlo. Ho due gatti. Con uno ho una relazione emotivamente molesta: lo amo, lo nutro, lo carezzo, ma lui dà affetto solo a mio marito. L’altro ha 15 anni: da un momento all’altro inizierà a piangere perché ha fame, e lo farà per tutto il pomeriggio – e sì, gli do uno snack, e sì, l’ho portato dal veterinario per un sacco di esami costosi: sta benissimo, è solo che gli piace farmi impazzire”. Massì, liberiamoci dei vecchi, dei malati. La società dell’immagine patinata impone che a sopravvivere siano solo i giovani e belli: gli hipster, i cool. Gli anziani, di qualunque razza per chi fa certe differenze, sono un fastidio e vengono abbattuti. Quanto ci piace il gatto quando è piccolo, buffo, fotogenico. Quando da giovane adulto ha un manto lucidissimo. Che scocciatura, invece, doversene occupare quando sta male, quando dopo una vita che ci ha regalato affetto e compagnia incondizionati, è lui ad aver bisogno. O come ha ironizzato un lettore indignato: “Ho la nonna in casa di riposo, andarla a trovare è una gran rottura. Devo prendere due autobus, e una volta lì, comunque, lei non ci sente quasi più. Posso farle fare l’eutanasia?” Certo, c’è il gioco delle parti. La “cara” Prudence, il cui nome significa “prudenza”, è dichiaratamente cinica. Il suo soprannome, “Prudie”, allude a “prude”, “persona bigotta”. Ma i sentimenti che trasudano dai due post sono comuni: egoismo, indifferenza, risentimento sfrenati. Oltre a gelosia e a una pericolosa attribuzione all’animale di volontà di far dispetto. Proprio Joffe, del resto, in un’agghiacciante column del 2005 intitolata “Perché ho ucciso il mio gatto”, raccontava, quasi orgogliosa, come avesse fatto ammazzare il proprio micio Goldie, fisicamente in perfetta salute, a poco più di quattro anni di età. “Faceva la pipì sul cuscino di mia figlia, usava la vasca da bagno come lettiera”.
Li lasciamo troppo soli. Problemi, certo. Che però hanno sempre una ragione. Con grave ritardo, per esempio, gli esperti hanno recentemente ammesso che anche i gatti, come i cani, soffrono di “separation anxiety”, di disturbi comportamentali legati all’essere lasciati troppo soli: episodi del genere spesso ne sono la spia. Joffe dichiara di aver speso centinaia di dollari per capire quale problema avesse il gatto, ma non si è mai chiesta se il problema fosse lei. Tanto più che gli ultimi studi confermano come proprio un modo sbagliato di trattare gli animali domestici causi loro psicopatologie quali cistiti e dermatiti. Poniamo perfino il caso che un animale non sia, come invece è, per sempre; che anche se l’abbiamo voluto e preso non è una nostra responsabilità, e in certe situazioni possiamo anche disfarcene. Una persona allo stremo avrebbe comunque portato Goldie in un rifugio, uno di quelli che non uccidono gli animali. Secondo l’American Humane Association, il 25% dei gatti lasciati nei rifugi viene ri-adottato: Prudie quella chance a Goldie non l’ha data, e se ne vanta pure. Di più: riferisce di come non avesse neanche dovuto spiegare alla figlia di nove anni la decisione di abbatterlo. “Capisco, mamma”, avrebbe detto la bambina: “Goldie è infelice”. “Goldie aveva smesso di essere un pet accettabile”, conclude Joffe. E se facessero così con noi? Se un giorno reputassero noi non più accettabili e ci mettessero a morte? Goldie era, agli occhi di Dear Prudence, una commodity, un oggetto. E oggi gli oggetti, se si rompono, non li aggiustiamo più: li buttiamo via e li ricompriamo nuovi. La società dell’efficienza (o della deficienza).
I commenti. «Sei un mostro di egoismo» Il post in cui Joffe consiglia alla lettrice di uccidere la gatta (che la proprietaria, guardacaso, non chiama mai per nome) ha ricevuto più di 3mila commenti. E se non manca chi l’applaude, migliaia sono i messaggi di persone che da tutta l’America si dicono pronte ad adottare la micia, di cat sitter della zona che offrono gratis i propri servizi. Interviene anche la “proprietaria” del gatto, che proprio come Prudie rifiuta adozioni e cat sitting, decisa a giocare a Dio con l’animale che le è molto attaccato ma che lei considera un fastidio, e si risente per essere giudicata “un mostro di egoismo”. Così si scopre che il felino ha perso molti denti non per la vecchiaia, ma sbattendo contro una porta. Che “gioca ed è molto attiva, perfino velocissima a fiondarsi quando vede un uccellino o un coniglio”. E che “non sembra infelice: l’infelice sono io”. Di nuovo l’egocentrismo furioso. La donna lamenta che la gatta “insegue le parole sullo schermo mentre vi scrivo” (cosa che in genere fa la gioia di tanti che hanno mici); che per via della mancanza di denti non può mangiare cibo secco ma ha bisogno di quello umido, più costoso, e specifico per problemi renali (ignora, evidentemente, che tutti i gatti, non solo quelli senza denti, devono mangiare cibo umido – e chissà che i disturbi renali al gatto non li abbia causati proprio lei); che “è vecchia e malata ma non lo sa perché ci prendiamo estrema cura di lei a spese della mia salute emotiva”. “Pensate sia facile occuparsene?”, attacca. “Allora tirate fuori i soldi”. E allega il link a una raccolta fondi. Per poi smentirsi quando, sommersa da altre critiche e dai sospetti che fosse tutta una truffa, spiega che no, la sua famiglia sta economicamente bene e non ha bisogno di aiuti monetari per il gatto. “Era solo un’idea che mi ha dato un’amica per ridurre lo stress”.
FONTE
La risposta. «Uccidi il gatto. Sei ostaggio delle sue pretese emotive – probabilmente aggravate da demenza senile. Il tuo gatto ha avuto una vita molto lunga. La tua sarà molto più breve se non ricominci a dormire e non ti prendi una vacanza. Certo che il tuo veterinario non vuole farle l’eutanasia: per lui il gatto è una gallina dalle uova d’oro. Ma se la porti al gattile più vicino e spieghi loro che ha 18 anni, è sorda, senza denti e molto malata, vedrai che tireranno fuori l’iniezione fatale. Ai bambini dirai che il gatto è molto malato, peggiora di giorno in giorno e che non vuoi che soffra (ok, forse lei non sta soffrendo, ma tu sì). So di cosa parlo. Ho due gatti. Con uno ho una relazione emotivamente molesta: lo amo, lo nutro, lo carezzo, ma lui dà affetto solo a mio marito. L’altro ha 15 anni: da un momento all’altro inizierà a piangere perché ha fame, e lo farà per tutto il pomeriggio – e sì, gli do uno snack, e sì, l’ho portato dal veterinario per un sacco di esami costosi: sta benissimo, è solo che gli piace farmi impazzire”. Massì, liberiamoci dei vecchi, dei malati. La società dell’immagine patinata impone che a sopravvivere siano solo i giovani e belli: gli hipster, i cool. Gli anziani, di qualunque razza per chi fa certe differenze, sono un fastidio e vengono abbattuti. Quanto ci piace il gatto quando è piccolo, buffo, fotogenico. Quando da giovane adulto ha un manto lucidissimo. Che scocciatura, invece, doversene occupare quando sta male, quando dopo una vita che ci ha regalato affetto e compagnia incondizionati, è lui ad aver bisogno. O come ha ironizzato un lettore indignato: “Ho la nonna in casa di riposo, andarla a trovare è una gran rottura. Devo prendere due autobus, e una volta lì, comunque, lei non ci sente quasi più. Posso farle fare l’eutanasia?” Certo, c’è il gioco delle parti. La “cara” Prudence, il cui nome significa “prudenza”, è dichiaratamente cinica. Il suo soprannome, “Prudie”, allude a “prude”, “persona bigotta”. Ma i sentimenti che trasudano dai due post sono comuni: egoismo, indifferenza, risentimento sfrenati. Oltre a gelosia e a una pericolosa attribuzione all’animale di volontà di far dispetto. Proprio Joffe, del resto, in un’agghiacciante column del 2005 intitolata “Perché ho ucciso il mio gatto”, raccontava, quasi orgogliosa, come avesse fatto ammazzare il proprio micio Goldie, fisicamente in perfetta salute, a poco più di quattro anni di età. “Faceva la pipì sul cuscino di mia figlia, usava la vasca da bagno come lettiera”.
Li lasciamo troppo soli. Problemi, certo. Che però hanno sempre una ragione. Con grave ritardo, per esempio, gli esperti hanno recentemente ammesso che anche i gatti, come i cani, soffrono di “separation anxiety”, di disturbi comportamentali legati all’essere lasciati troppo soli: episodi del genere spesso ne sono la spia. Joffe dichiara di aver speso centinaia di dollari per capire quale problema avesse il gatto, ma non si è mai chiesta se il problema fosse lei. Tanto più che gli ultimi studi confermano come proprio un modo sbagliato di trattare gli animali domestici causi loro psicopatologie quali cistiti e dermatiti. Poniamo perfino il caso che un animale non sia, come invece è, per sempre; che anche se l’abbiamo voluto e preso non è una nostra responsabilità, e in certe situazioni possiamo anche disfarcene. Una persona allo stremo avrebbe comunque portato Goldie in un rifugio, uno di quelli che non uccidono gli animali. Secondo l’American Humane Association, il 25% dei gatti lasciati nei rifugi viene ri-adottato: Prudie quella chance a Goldie non l’ha data, e se ne vanta pure. Di più: riferisce di come non avesse neanche dovuto spiegare alla figlia di nove anni la decisione di abbatterlo. “Capisco, mamma”, avrebbe detto la bambina: “Goldie è infelice”. “Goldie aveva smesso di essere un pet accettabile”, conclude Joffe. E se facessero così con noi? Se un giorno reputassero noi non più accettabili e ci mettessero a morte? Goldie era, agli occhi di Dear Prudence, una commodity, un oggetto. E oggi gli oggetti, se si rompono, non li aggiustiamo più: li buttiamo via e li ricompriamo nuovi. La società dell’efficienza (o della deficienza).
I commenti. «Sei un mostro di egoismo» Il post in cui Joffe consiglia alla lettrice di uccidere la gatta (che la proprietaria, guardacaso, non chiama mai per nome) ha ricevuto più di 3mila commenti. E se non manca chi l’applaude, migliaia sono i messaggi di persone che da tutta l’America si dicono pronte ad adottare la micia, di cat sitter della zona che offrono gratis i propri servizi. Interviene anche la “proprietaria” del gatto, che proprio come Prudie rifiuta adozioni e cat sitting, decisa a giocare a Dio con l’animale che le è molto attaccato ma che lei considera un fastidio, e si risente per essere giudicata “un mostro di egoismo”. Così si scopre che il felino ha perso molti denti non per la vecchiaia, ma sbattendo contro una porta. Che “gioca ed è molto attiva, perfino velocissima a fiondarsi quando vede un uccellino o un coniglio”. E che “non sembra infelice: l’infelice sono io”. Di nuovo l’egocentrismo furioso. La donna lamenta che la gatta “insegue le parole sullo schermo mentre vi scrivo” (cosa che in genere fa la gioia di tanti che hanno mici); che per via della mancanza di denti non può mangiare cibo secco ma ha bisogno di quello umido, più costoso, e specifico per problemi renali (ignora, evidentemente, che tutti i gatti, non solo quelli senza denti, devono mangiare cibo umido – e chissà che i disturbi renali al gatto non li abbia causati proprio lei); che “è vecchia e malata ma non lo sa perché ci prendiamo estrema cura di lei a spese della mia salute emotiva”. “Pensate sia facile occuparsene?”, attacca. “Allora tirate fuori i soldi”. E allega il link a una raccolta fondi. Per poi smentirsi quando, sommersa da altre critiche e dai sospetti che fosse tutta una truffa, spiega che no, la sua famiglia sta economicamente bene e non ha bisogno di aiuti monetari per il gatto. “Era solo un’idea che mi ha dato un’amica per ridurre lo stress”.
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