FONTE
Un deserto ha origine dopo una prolungata carenza di precipitazioni. La conformazione geologica – dovuta in prevalenza all’azione del vento (erosione eolica) – può essere di differenti tipologie. Ci sono i deserti di sabbia, chiamati erg, di roccia, detti hammada, o di ciottoli, i deserti serir. La storia di un deserto può essere studiata attraverso la paleontologia. Durante il pleistocene (1 milione di anni fa), dove attualmente si trovano i deserti si alternarono periodi piovosi coincidenti con le glaciazioni e periodi aridi corrispondenti ai periodi di clima più caldo. Questo è dimostrato dalla sequenza stratigrafica del terreno e dalle variazioni del livello delle acque di alcuni laghi esistenti ancora oggi. Ad esempio il lago Ciad nel Sahara, un tempo era enormemente più ampio e più profondo di 120 m. In tempi più recenti, al termine dell’ultima glaciazione, il clima di alcune zone terrestri (in condizioni di costante alta pressione) ha determinato la distribuzione dei deserti. In altri casi (il semi – deserto patagonico delle Ande), a favorirne la formazione è stata la presenza di catene montuose che ha costituito una barriera per le correnti umide provenienti dagli oceani. Le nuvole, infatti, vengono bloccate dalle montagne e, di conseguenza, portano pioggia sul primo versante che incontrano, mentre, “a ridosso”, la piovosità risulta scarsissima. Anche le correnti fredde oceaniche hanno dato origine a zone aride: esse generano venti freschi e costanti che trasportano poca umidità, che al massimo si condensa in nebbia senza dar luogo a precipitazioni vere e proprie. Hanno questa origine il deserto costiero del Perù e Cile settentrionale, bagnato dalla corrente fredda antartica di Hudson, e il deserto del Namib, bagnato dalla corrente antartica del Banguela. I venti inoltre sono responsabili del continuo modellamento del paesaggio desertico: la vegetazione infatti è praticamente assente e il suoli sono facilmente aggredibili. L’azione erosiva è anche amplificata dalla presenza di sabbia, che funziona come agente abrasivo. I più spettacolari risultati dell’azione eolica consistono in rocce erose e levigate dalle forme più fantasiose. Anche le dune sono opera del vento, che crea e sposta queste montagne sabbiose; le correnti d’aria, infatti, sollevano i granelli e li ridepositano quando aumenta l’attrito. La forma delle dune è influenzata principalmente dalla direzione e dalla costanza del vento; si hanno dune paraboliche, a cupola, a barcana, traverse, lineari, opposte e a stella. FONTE Le estese praterie della steppa sono il regno dei grandi erbivori che compiono spesso notevoli migrazioni alla costante ricerca di nuovi pascoli. A causa della mancanza di nascondigli e della necessità di spostarsi, molti erbivori della steppa hanno evoluto dimensioni considerevoli, eccezionali adattamenti alla corsa e sensi capaci di percepire segnali anche molto distanti. Tipici erbivori della steppa sono: il bisonte europeo e quello nordamericano, il cavallo, che proviene dalle steppe asiatiche, l’antilocapra, che vive nelle praterie del Nord America, e il guanaco, un parente dei cammelli che popola le steppe argentine. Nella pampa sudamericana, oltre al guanaco, vive il cervo delle pampas, un piccolo cervide delle dimensioni di un capriolo. Il bisonte Il bisonte è forse l’erbivoro più rappresentativo della steppa. Fino al secolo scorso ne esistevano due specie: l’europeo e il nordamericano. Il bisonte europeo è il più grosso mammifero vivente in Europa. È ricoperto da una fitta pelliccia lanosa, ha un collo corto e robusto, la fronte bassa e larga e corna ricurve verso l’alto. Oggi il bisonte europeo è pressoché estinto, decimato dalla caccia e dalla scomparsa del suo habitat. Ne sopravvivono soltanto poche centinaia di capi. Il bisonte nordamericano è tra i mammiferi terrestri più grandi. Può superare una tonnellata di peso e 180 centimetri di altezza. Fino alla metà dell’800 immense mandrie di bisonti attraversavano le praterie del Nord America. Purtroppo, a partire dalla metà dell’800, la feroce persecuzione operata dai coloni e dai cacciatori bianchi ha portato questo maestoso animale sull’orlo dell’estinzione. Oggi la specie è in ripresa grazie ai programmi di protezione e all’istituzione di vaste aree protette. Tra i grandi erbivori vivono molte specie di piccoli mammiferi che, per fuggire ai predatori, scavano profondi tunnel sotterranei. In sud America si trovano diverse specie di roditori: le cavie, oggi apprezzate come animali da compagnia, le viscacce, e i tuco-tuco, simili a grossi criceti. Le attività di scavo di questi roditori rimescolano continuamente i vari strati di suolo contribuendo all’aerazione del terreno e alla riduzione della concentrazione di sali minerali sulla superficie. Nelle steppe nordamericane si trovano i cani della prateria, roditori organizzati in complesse comunità che vivono in vere città scavate sottoterra. I cani della prateria hanno una vita sociale molto complessa e comunicano mediante un linguaggio articolato fatto di gesti e di richiami. Alcuni individui restano di guardia intorno alle entrate delle tane, mentre altri si occupano dei piccoli: al minimo accenno di pericolo le sentinelle lanciano grida di allarme e tutta la comunità si nasconde nei cunicoli. I cani della prateria brucano completamente l’erba intorno alla colonia per impedire ai predatori di avvicinarsi senza essere visti. Nelle steppe dell’Asia vivono lo yak, il muflone, e l’onagro o asino selvatico. Tra i piccoli mammiferi asiatici si ricordano il souslik, l’equivalente asiatico del cane della prateria, e il criceto comune. Altri piccoli animali della steppa Nascosti tra le erbe prosperano molte specie di insetti, soprattutto cavallette, coleotteri e farfalle che rivestono l’importante ruolo di impollinatori. Sono numerosi anche i rettili, come i serpenti a sonagli del Nord America. La grande quantità di erbivori e di animali di piccola taglia richiama diverse specie di predatori. Il lupo in Europa e Asia e il coyote in Nord America predano animali di grossa taglia mentre le volpi, le donnole, i tassi, gli ermellini e i gatti polari catturano piccole prede. Anche gli uccelli rapaci sono abituali frequentatori delle praterie: la vista acuta consente loro di scovare le prede a grande distanza in un territorio pressoché privo di nascondigli. In Australia la steppa ricopre quasi la metà dell’interno del continente. Il tipico abitante della steppa australiana è il canguro, ma esistono numerose altre specie di marsupiali, come l’opossum e il wombato, simile a un piccolo orso. Diversi uccelli australiani hanno perso la capacità di volare: l’emù e il casuario sono di grandi dimensioni e, come gli struzzi africani, sono ottimi corridori. Il kiwi è un piccolo uccello notturno incapace di volare; si nutre degli invertebrati che trova nel terreno grazie all’olfatto e all’udito. In Australia vivono rettili impressionanti, come il varano, la lucertola dal collare e il moloch, una sorta di iguana lunga 20 centimetri con il corpo ricoperto di spine. L’uomo ha introdotto animali che non appartenevano alla fauna tipica dell’Australia come i conigli, i topi e i cani. I dingo, cani inselvatichiti, hanno sostituito il lupo marsupiale (il tilacino) occupandone la nicchia ecologica. FONTE1 FONTE2 FONTE3 Nonostante le basse temperature, la tundra è popolata da numerose specie animali. Molti animali migrano per evitare i mesi più freddi. Altri, invece, hanno evoluto diversi sistemi di difesa dal gelo che consentono loro di sopravvivere nella tundra anche durante la lunga e fredda notte invernale. Nella tundra il letargo non è possibile, perché il terreno gelato non permette lo scavo di rifugi e gallerie e perché la bella stagione è troppo corta per assicurare un accumulo sufficiente di riserve alimentari. Molti piccoli animali, come il lemming, scavano tunnel sotto la neve per cercare il cibo e per sfuggire ai predatori, ma l’ermellino, un piccolo carnivoro dal corpo agile e affusolato, riesce a inseguirli anche nei loro stretti cunicoli. La volpe artica nasconde provviste di carne congelata e se ne nutre durante l’inverno. Le lepri artiche si rifugiano sotto la neve ma si cibano in superficie, rischiando di essere attaccate dalle volpi. Molte specie che rimangono nella tundra anche nei mesi invernali, come il gallo cedrone dei salici, la volpe artica, la lepre artica e l’ermellino, cambiano il colore per mimetizzarsi. In estate, quindi, hanno livree scure, brune e marroni, mentre in inverno sono candidi come la neve. La maggior parte degli animali evita il gelo dell’inverno con la migrazione. All’inizio dell’estate, infatti, si assiste al ritorno in massa di molte specie provenienti da altre zone: i caribù, le renne, gli orsi grigi e i lupi grigi, per esempio, giungono dalle foreste boreali. Le renne si spostano riunite in grandi mandrie; le femmine partoriscono i piccoli all’inizio dell’estate, appena arrivate nella tundra. Anche i lupi grigi nascono nei mesi caldi quando, inseguendo i grandi erbivori, fanno la loro comparsa nella tundra. I lemming Tra i più tipici animali della tundra c’è il lemming, un piccolo roditore. I lemming si riproducono molto in fretta e raggiungono la maturità sessuale in tempi brevissimi: a 38 giorni di vita una femmina è già in grado di partorire i piccoli. Quando la popolazione raggiunge la massima densità, i lemming divorano tutta la vegetazione disponibile. Per cercare nuovo cibo, questi roditori compiono impressionanti migrazioni durante le quali in molti perdono la vita. Si spostano in massa verso le zone più ricche di cibo, spesso attraversando fiumi, brevi tratti di mare e città. Gli uccelli della tundra sono per la maggior parte migratori. Alcuni, come i tetraoni dei salici, si spostano solo per brevi distanze, altri compiono viaggi di migliaia di chilometri. La sterna artica raggiunge la tundra nordica partendo dall’Antartico, dopo aver percorso 36 mila chilometri! Le oche sono forse gli uccelli più caratteristici della tundra. Ne arrivano diverse specie che migrano per riprodursi dopo aver trascorso i mesi freddi nel Mediterraneo, in Messico, in Africa o negli Stati Uniti del sud. Le zone umide estive sono l’ambiente ideale per molte specie di insetti che trascorrono l’inverno allo stadio di uova. Le zanzare e le mosche sono così numerose da costringere i grandi mammiferi, come buoi muschiati e caribù, ad abbandonare le zone paludose per raggiungere terreni più alti e asciutti. L’abbondanza estiva di insetti richiama nella tundra moltissime specie di piccoli uccelli insettivori che vi migrano proprio per approfittare del banchetto. Gli uccelli e i lemming attirano smerigli, falconi e altri uccelli rapaci. FONTE1 FONTE2 Tra i mammiferi che abitano la taiga troviamo la volpe, la lince, l’orso, il visone, lo scoiattolo; tra i più grossi mammiferi ci sono il lupo grigio e le sue prede: il caribù, la renna e l’alce americano. In inverno i lupi cacciano questi erbivori in branchi, spesso dividendosi in due gruppi per accerchiare le prede prima dell’attacco. A volte uno dei gruppi crea scompiglio all’interno del branco delle prede, mentre l’altro si introduce furtivamente in mezzo ad esse. Vengono catturati solo gli individui giovani e quelli feriti o vecchi, mentre gli adulti vengono risparmiati. Durante il rigido inverno, la maggioranza di questi mammiferi abita all’interno della foresta, al riparo della vegetazione. Le specie che non vanno in letargo possiedono degli adattamenti particolari per spostarsi agilmente sulla neve. La renna e l’alce americano, ad esempio, hanno zoccoli grossi e piatti per poter distribuire meglio il loro peso. Zampe con adattamenti simili si trovano anche nella lepre artica, nella lince e nel gallo cedrone. Il castoro americano è un mammifero che vive nei pressi di corsi d’acqua, dove crescono alberi decidui (cioè che cambiano stagionalmente le foglie) come i pioppi, le betulle e i salici. I castori sono animali di grande interesse ecologico perché possono provocare cambiamenti sostanziali nella vegetazione della foresta; infatti, si nutrono della corteccia di alcune specie di alberi, spesso determinandone la morte, e abbattono altri alberi per costruire le loro tane e le loro dighe sui fiumi. L’entrata della tana è posta sempre sott’acqua, mentre la camera è situata all’asciutto; la tana ha un diametro che può arrivare ad 1 metro ed essere alta 40-50 centimetri. Nel caso in cui non siano disponibili rive scoscese, il castoro preferisce costruire una “capanna” anche di notevoli dimensioni. L’abilità del castoro non si limita alla costruzione di tane e capanne, ma anche alla realizzazione di canali che gli permettono di raggiungere, al coperto, i luoghi di alimentazione. Questo roditore accumula legno all’interno della tana per sostentarsi durante l’inverno. Anche quando l’acqua è gelata, i castori vivono all’interno della tana protetti dai predatori come il ghiottone, un predatore piuttosto grosso, capace di arrampicarsi e di lasciarsi cadere improvvisamente sulle vittime di passaggio. La maggior parte degli uccelli che vivono nella taiga migra verso sud durante l’inverno, mentre due specie (il crociere rosso d’Europa e il crociere dalle ali bianche) si sono adattate a resistere a questa stagione gelida, cibandosi di una tra le materie prime più abbondanti e nutrienti di questo bioma: i semi delle conifere (pinoli). I pinoli si trovano racchiusi all’interno di robuste pigne legnose (coni) e possono essere estratti solo con l’abile uso del becco modificato dei crocieri; il crociere rosso d’Europa (Scandinavia e Confederazione Russa) e il suo equivalente americano, il crociere dalle ali bianche, possiedono, infatti, becchi che si incrociano alla punta, strumenti efficacissimi per l’estrazione dei semi delle conifere. Sono comuni anche le formiche, le vespe del legno, i coleotteri xilofagi (cioè che si nutrono di legno) e mosche. Particolarmente dannose per alcuni alberi sono alcune specie di larve di farfalle chiamate comunemente processionaria. FONTE1 FONTE2 Al contrario della foresta tropicale, in questo bioma si trova un numero limitatissimo di mammiferi, a causa della mancanza di una complessa serie di strati e della natura stagionale della vegetazione. Durante l’autunno, gli animali di questo bioma si alimentano e raccolgono provviste per l’inverno; in particolare prediligono noci e semi alati che si conservano infatti per lungo tempo. I frutti del melo, della rosa, del biancospino, dell’uva spina e altri, invece, tendono a maturare tutti nello stesso periodo (verso la fine dell’estate), e quindi sono utilizzati durante l’estate per accumulare riserve di grasso. Molti mammiferi e uccelli hanno escogitato numerose strategie per sopravvivere al rigore dell’inverno, infatti, molte specie dormono per l’intero periodo invernale, ben protetti nelle loro tane. Alcuni animali entrano in una vera e propria ibernazione; la temperatura corporea cala e il metabolismo viene ridotto al minimo; le riserve di grasso accumulate sono comunque sufficienti a mantenere in vita l’animale; adottano questa strategia i ricci e i topolini. Gli scoiattoli, gli orsi e i tassi, invece, non riducono la temperatura del corpo, ma durante l’inverno entrano in uno stato di torpore cui alternano brevi momenti di veglia. Il riccio Il riccio (Erinaceus europaeus) è un animale terricolo che costruisce il nido in superficie, sotto arbusti e cespugli; durante il giorno resta nascosto sotto rami secchi e foglie, mentre al crepuscolo si muove alla ricerca di cibo. Il riccio è l’unico insettivoro ad andare in letargo, generalmente da ottobre a marzo. Si nutre di insetti, lombrichi, e molluschi terrestri. Lo scoiattolo Lo scoiattolo (Sciurus vulgaris) nel periodo invernale si ciba delle riserve (noci e nocciole) accumulate durante l’autunno. Lo scoiattolo è una specie diurna che vive quasi esclusivamente sugli alberi, dove si muove con grande agilità. Costruisce nidi individuali in genere alla biforcazione dei rami, a 5-15 metri dal suolo, costituiti da ramoscelli intrecciati con uno o due ingressi. Si ciba di germogli, radici, frutti del sottobosco, ghiande, noci e nocciole. Talvolta si nutre di insetti e di uova di uccelli. L’orso bruno L’Orso bruno (Ursus arctos) preferisce gli ambienti di foresta, anche se si adatta ad una grande varietà di condizioni ecologiche. In Italia risulta confinato in ambienti montani che presentano una elevata copertura boschiva e morfologia aspra, poiché evita le aree caratterizzate da un eccessivo disturbo umano. Il legame con i boschi risulta maggiore in primavera e autunno, mentre in estate l’orso frequenta soprattutto aree a predominanza di cespuglieti e vegetazione erbacea a quote più elevate. Durante l’inverno preferisce ripide fasce rocciose, in cui possa trovare grotte o comunque anfratti nei quali scavare una tana per il letargo. L’Orso bruno è attivo prevalentemente, anche se non esclusivamente, di notte. È territoriale e solitario, con interazioni sociali limitate al periodo degli accoppiamenti. Il tasso Il tasso (Meles meles) vive in ambiente di foresta, di pianura e anche di montagna fino a 2.000 m. Preferisce i boschi di latifoglie o misti anche di limitata estensione, alternati a zone aperte, cespugliate, sassose e incolte; nelle regioni settentrionali è presente abitualmente nelle foreste di conifere. Si tratta comunque di una specie ecologicamente molto adattabile e proprio per questo può abitare anche aree agricole ed ambienti di macchia densa, anche nelle aree costiere. Scava tane o utilizza quelle di altri animali (istrici, volpi) con i quali a volte convive. Nel nord Europa il tasso forma dei gruppi sociali che condividono la stessa tana e lo stesso territorio, mentre in Italia sembra invece prediligere un comportamento più solitario. Altri animali ancora cercano di sopravvivere all’inverno con il cibo scarso che trovano, utilizzando anche le riserve di grasso: i cervi e i cinghiali grufolano tra la vegetazione e si cibano di cortecce e ramoscelli; alcuni uccelli si nutrono dei germogli e delle bacche che rimangono sugli alberi; gli uccelli insettivori, invece, scandagliano lo strato di foglie in cerca di insetti intorpiditi e di lombrichi, mentre le cince li cercano sui rami. Il cervo Il cervo (Cervus elaphus) è una specie generalmente associata ad ambienti di boschi aperti inframmezzati a distese di prateria in regioni pianeggianti; solo in seguito è stato sospinto negli habitat di foresta densa ed in montagna dalla pressione esercitata dall’uomo. Attualmente frequenta una vasta gamma di habitat, dalle brughiere scozzesi alle foreste mesofile (formate da piante che prediligono le zone umide) dell’Europa centrale, alla macchia mediterranea che caratterizza la parte più meridionale del suo areale. In montagna si spinge durante l’estate ben oltre il limite superiore della vegetazione arborea, nelle praterie dell’Orizzonte alpino. In Italia frequenta di preferenza i boschi di latifoglie o misti alternati a vaste radure e pascoli, ma si trova anche nelle foreste di conifere, nelle boscaglie ripariali (cioè situate in prossimità delle sponde dei fiumi e dei laghi) dei corsi d’acqua e, in Sardegna, nella tipica macchia mediterranea. Il cervo forma grandi branchi in genere guidati da una femmina anziana. Nel periodo riproduttivo i maschi presentano comportamenti fortemente rituali, come lotte, richiami (bramiti molto potenti), marcature del territorio. Al termine del periodo riproduttivo, i maschi tornano a vivere isolati e le femmine restano in gruppo con una femmina adulta come guida. Il cervo è attivo specialmente di notte e al crepuscolo, è molto sospettoso e si lascia avvicinare con difficoltà. E’ una specie erbivora e brucatrice (pascoli, arbusti, ericacee, conifere). Alcuni uccelli, tra cui gli uccelli canori, dopo aver accumulato grasso a sufficienza, migrano più a sud. Tra questi troviamo il cardellino (Carduelis carduelis) che si trova in quasi tutta l’Europa ad eccezione di Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e nord della Russia. Vive nei boschi misti, giardini e cespugli presenti in territorio aperto. Si nutre di afidi, germogli e semi, soprattutto di cardo. Nidifica ad un’altezza di 8-10 metri sui rami di latifoglie o conifere; il nido è caratterizzato da una parete spessa costituito da fibre, muschio, lana. La femmina ha il compito di covare le uova mentre entrambi i componenti della coppia si occupano della prole. FONTE1 FONTE2 FONTE3 Le fondamentali caratteristiche della fauna tropicale sono tre:
Ad ogni stratificazione della foresta, si trovano differenti habitat e quindi animali, a parte alcune eccezioni come, ad esempio, gli insetti che si trovano sia a terra, sia sulle chiome, sia negli strati intermedi. Partendo dal suolo e risalendo lungo le diverse stratificazioni fino al limite delle alte chiome, troviamo animali adattati ai diversi habitat presenti. Il suolo della foresta tropicale è caratterizzato dalla scarsità della piccola fauna ipogea (del sottosuolo), infatti sono scarsissimi i lombrichi e le larve sotterranee; più abbondanti cicale e coleotteri che si nutrono di radici e della linfa delle piante. Spesso si trovano montagnette di terra smossa al cui centro si intravede una galleria più o meno larga: è quel che resta dell’uscita di una larva di cicala che, dopo una lunga attesa, in certe specie durata oltre 10 anni, finalmente esce all’esterno per compiere la metamorfosi aggrappandosi alla base di un tronco e sfarfallando poco dopo. Al contrario della lunga vita sotterranea, quella alata dura raramente più di un anno. Gli animali che si trovano sul pavimento forestale sono soprattutto mammiferi scavatori (roditori e armadilli), scimmie terricole, boa e pitoni, rane, gallinacei, leopardi e giaguari, chiocciole e formiche, ragni e scorpioni. Il grande sviluppo verticale della vegetazione ha comportato per molte specie animali adattamenti sia arboricoli che aerei per raggiungere la gran parte delle risorse alimentari come foglie, fiori, semi e frutti che si trovano nelle alte chiome. In alcune aree tropicali (in Borneo, per esempio) le specie arboricole raggiungono il 45% rispetto al totale delle specie presenti; nelle foreste temperate questa percentuale risulta pari a solo 5 – 15%. Fanno parte degli adattamenti morfologici messi in atto da alcune specie le code prensili, muscolature sviluppatissime, unghie adatte a far presa su tronchi e rami (es. Pangolino arboricolo, Mamis spp. in Asia e in Africa). Uccelli della volta Gli uccelli (per esempio il pappagallo Ara macao) mostrano invece adattamenti al volo in un ambiente fitto e intricato: ali corte e arrotondate, code spesso lunghe per meglio direzionarsi. Sotto la volta e sui rami alti si trovano scimmie, bradipi dalle grandi e robuste unghie con le quali si appendono ai rami, piccoli uccelli che si nutrono di nettare (colibrì in America, nettarini in Africa), uccelli dai colori variopinti (tucani, pappagalli, uccelli del paradiso), serpenti arboricoli, grandi farfalle, pipistrelli (volpe volante). Animali planatori Alcuni adattamenti alla vita arboricola considerati “estremi” sono rappresentati dalle specie “volanti” che si trovano, ad esempio, nella foresta del Borneo: tali specie sfruttano una membrana tesa tra il corpo e gli arti superiori che crea una superficie larga abbastanza da sostenere l’animale in volo. Oltre alle varie specie di scoiattoli volanti (Petaurista spp. e altre) distribuite anche in altre regioni e al Lemure volante o Cinocefalo (Cynocephalus variegatus), esistono ancora una raganella volante (Racophorus nigropalmatus), un serpente volante (Chrysopelea pelias) e una lucertola volante (Draco volitans). Questi animali sono tutti dotati di membrane ed estroflessioni più o meno piccole che permettono loro di planare dall’altezza delle chiome della foresta. Le distanze coperte sono considerevoli: circa 50 metri per il serpente e oltre 500 metri per il Cinocefalo. In questo bioma i grandi mammiferi sono relativamente pochi. Contrariamente a quelli delle savane, non formano branchi, né cacciano in gruppo, ma vivono da soli o in coppia. Tra la vegetazione lussureggiante, il raggio visivo è molto limitato e perciò molte specie animali fanno affidamento, più che sulla vista, sull’olfatto o sull’udito (specialmente insetti, uccelli, rane, proscimmie e scimmie). Nella foresta tropicale la maggior parte delle attività degli animali si svolge all’alba, al crepuscolo e durante la notte quando iniziano ad uscire animali come i pipistrelli, le raganelle (Dendrobates spp.) e i lemuri che riempiono la foresta di rumori. FONTE1 FONTE2 FONTE3 Moltissimi sono gli animali erbivori che si nutrono dei vegetali presenti sulla barriera: ricci di mare, crostacei, molluschi e varie specie di pesci. I pesci pappagallo (così chiamati dalla bocca robusta a forma di becco), e i pesci chirurgo (cosi chiamati per la presenza di una lamella sulla coda tagliente come un bisturi) sono i principali erbivori. I pesci pappagallo possiedono una bocca specializzata per staccare le alghe dalla superficie dei coralli lasciando segni inconfondibili del loro passaggio. In questo modo staccano anche lo strato superficiale dello scheletro calcareo, che, non digerito, viene in seguito espulso sotto forma di sabbia corallina. Altre grandi divoratrici di corallo sono le stelle marine spinose Acanthaster; se molti individui di questa specie si concentrano in un’area, possono causare gravi danni alla barriera. Il verme marino Hermodice caruncolata che vive ai Caraibi, può divorare un centimetro quadrato di corallo in un’ora; anche i pesci farfalla (ad esempio, il pesce farfalla bandiera) si cibano principalmente di polipi di corallo e altri piccoli animali che catturano tra le fessure e i nascondigli naturali che la barriera offre. Questi pesci possiedono piccole bocche sporgenti simili a pinzette che riescono a raggiungere ogni più stretto nascondiglio. Molti altri pesci possiedono bocche simili, come i pesci angelo, il bellissimo Zanclus canescens (simile ai pesci farfalla), alcuni pesci lima ed altri, tutti predatori di piccoli invertebrati. I pesci balestra, i pesci palla e i pesci istrice, invece, staccano pezzi di corallo servendosi della loro robustissima bocca. Esistono anche pesci corallini che si cibano di plancton o di detrito, ma la maggior parte è costituita da predatori. Di fronte alla barriera corallina in mare aperto troviamo le specie animali di grandi dimensioni come la grossa tartaruga verde (Chelonia mydas), moltissime specie di squali e la manta (Manta birostris). In questo particolare ecosistema troviamo anche invertebrati colorati e stravaganti. Le spugne sicuramente rappresentano uno dei gruppi più importanti tra gli invertebrati della barriera. Si nutrono di piccole particelle di cibo trasportate dall’acqua che vengono filtrate attraverso numerosi minuscoli pori. I buchi più grandi sono, invece, i cosiddetti “osculi” da cui l’animale espelle l’acqua filtrata. Le spugne della barriera presentano forma, dimensioni e colori incredibilmente differenti. Sono molto numerose le oloturie, dette anche “cetrioli di mare” per la caratteristica forma del loro corpo, con specie che possono arrivare ad una lunghezza di oltre un metro, oppure possono essere corte e coloratissime. Anche le stelle marine in questo ecosistema possiedono colorazioni molto vistose, come la Linkia esatentacolata, con il suo sgargiante blu viola. FONTE Attualmente la macchia che circonda il bacino del Mediterraneo è sicuramente più povera di animali a causa della lunga storia dell’attività umana nella zona; in altre parti del mondo, invece, la macchia mantiene una fauna numerosa. Si possono trovare cinghiali, caprioli, daini, scoiattoli, volpi, lupi, tassi, roditori, testuggini, lucertole e molte specie di uccelli. La fauna del suolo comprende chiocciole, insetti e lombrichi, e deve affrontare annualmente due periodi di sospensione dell’attività: il freddo invernale (comportamento di ibernazione) e la siccità estiva (comportamento di estivazione). All’inizio dell’estate gli insetti del suolo e gli altri piccoli animali si spostano in profondità di molti centimetri, dove trovano le condizioni adatte per superare la siccità estiva in attesa delle piogge autunnali. Altri animali sopportano la siccità del giorno diventando attivi nelle ore notturne. FONTE Abitano la savana una gran quantità di erbivori di notevoli dimensioni (gnu, zebre, antilopi, giraffe, rinoceronti ed elefanti in Africa; cervi, elefanti e gaur in India), che durante la stagione secca migrano per centinai di chilometri per raggiungere zone più umide. A volte si formano branchi di differenti specie. Quasi tutti i neonati degli erbivori della savana sono molto precoci: uno gnu, infatti, dopo pochi minuti dalla nascita è già capace di camminare. Questa caratteristica nasce dall’esigenza di non rimanere indietro rispetto al branco, il quale assicura un’efficace difesa dai predatori. La socialità si trova anche nei carnivori della savana: leoni, licaoni, iene e sciacalli cacciano in gruppi seguendo particolari strategie. Tra gli abitanti della savana troviamo anche grandi uccelli, i Ratiti (struzzo, nandù) e altri uccelli terricoli (otarde, faraone, marabù). Tuttavia, gli abitanti più numerosi della savana sono gli insetti, tra cui formiche, termiti e cavallette, le quali compiono lunghe migrazioni durante la stagione secca. Tali animali si nutrono della vegetazione di queste zone che, infatti, viene decimata al passare di questi enormi sciami di insetti. FONTE Anche nel mondo animale si trovano sorprendenti adattamenti a questo habitat inospitale dove il caldo e la siccità sono i principali fattori limitanti per lo sviluppo della vita, e determinano anche una scarsa disponibilità di cibo. Alcuni animali del deserto durante l’estate o nel caso di siccità particolarmente prolungata vanno in “estivazione”, riducono, cioè, le proprie attività, riparandosi sotto le rocce o nel sottosuolo, esattamente come avviene in inverno nelle latitudini temperate, quando molti esseri viventi si ibernano o entrano in letargo. Tra gli animali che vanno in estivazione ci sono, per esempio, alcune specie di rettili e le chiocciole del deserto, che sono attive solo subito dopo le piogge: quando l’umidità diminuisce, si ritirano nella conchiglia aspettando le nuove precipitazioni in uno stato di torpore che può durare cinque anni. Anche farfalle, coleotteri e blatte del deserto sincronizzano i propri cicli vitali con i periodi piovosi: le larve emergono dalle uova solo quando, grazie alle piogge, aumenta la disponibilità alimentare. Una diminuzione delle attività si riscontra anche durante la giornata, soprattutto nelle ore centrali più calde, in cui tutti gli animali cercano riparo all’ombra. Alcuni grandi animali come mammiferi ungulati, carnivori, uccelli e insetti volanti per spostarsi dalle aree più calde e aride a quelle più ospitali si disperdono (erratismo) o intraprendono vere e proprie migrazioni. Ad esempio, le ganghe e le grandule, uccelli simili alle pernici, si spostano ogni giorno per andare ad abbeverarsi nelle oasi, o ovunque possano trovare acqua. Questi volatili riescono addirittura ad abbeverarsi con acqua salmastra. Grandi o piccoli per sopportare il caldo Per vivere alle alte temperature di questo ambiente poco ospitale, alcune specie animali hanno sviluppato particolari adattamenti morfologici (che riguardano la forma) e fisiologici (che riguardano il funzionamento). Gli animali del deserto, secondo la regola di Allen, o hanno dimensioni corporee minori rispetto a quelli delle aree più fredde, in modo da disperdere più facilmente il calore, oppure grandi dimensioni: infatti, maggiore è la massa dell’animale (per esempio il cammello), più lentamente si scalderà in condizioni di alte temperature. FONTE |
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