FOTOGALLERIA Prima dell'avvento dell'uomo il tasso di estinzione era fino a mille volte più basso di adesso. Oggi però nuove tecnologie, app e crowdsourcing possono darci una mano ad aiutare piante e animali.
Il 19 maggio 2010, alla Joint Base Balad a nord di Baghdad, in Iraq qualcuno portò a Jonathan Trouern-Trend dello U.S. Service una rana in una bottiglia di plastica. L'anfibio dai colori sgargianti era nascosto in un luogo insolito: la latrina.
Molti, alla base, conoscevano Trouern-Trend come "quello che identifica le bestioline", spiega lui. Da sempre amante della natura, si trovava in Iraq nella sua seconda missione come sergente. Prima di rilasciare la rana in uno stagno limitrofo, Trouern-Trend aveva caricato la sua foto sull'app iNaturalist, che mette in collegamento una comunità di persone che in tutto il mondo riportano gli avvistamenti di piante e animali.
Proprio gli utenti di iNaturalist lo hanno così informato che si trattava di una rana arboricola della specie Hyla savignyi, mai avvistata dagli scienziati al di fuori del Kurdistan. L'areale di diffusione della specie si era improvvisamente ampliato.
Questo tipo di citizen science ha preso piede negli ultimi anni grazie agli smartphone. Ora, in base a una nuova ricerca sulla biodiversità, sta dando agli scienziati la speranza che le nuove tecnologie possano rallentare l'estinzione.
Si tratta di buone notizie, perché secondo un rapporto pubblicato il 29 maggio su Science, l'attuale tasso di estinzione è mille volte più elevato di quanto sarebbe se gli esseri umani non facessero parte del quadro.
Il leader dello studio Stuart Pimm, ecologo conservazionista alla Duke University, insieme ai suoi colleghi ha analizzato varie fonti - in particolare la Lista Rossa della IUCN, International Union for Conservation of Nature, elenco globale delle specie - per elaborare il primo rapporto completo con i dati riguardanti l'estinzione delle specie.
App per gli smartphone, dati dei satelliti GIS e crowdsourcing, spiega Pimm, potrebbero essere una parziale soluzione del problema. Attraverso queste tecnologie "stiamo mobilitando milioni di persone in tutto il mondo, e siamo in procinto di scoprire molto di più riguardo alla posizione delle varie specie". È un momento critico, spiega, perché "sappiamo dove si trovano le specie e conosciamo le minacce: nonostante la situazione sia molto sconfortante siamo in grado di gestirla un po' meglio".
Peter Crane, preside della Yale's School of Forestry and Environmental Studies, ha commentato via mail che il nuovo studio "rappresenta uno strumento prezioso, in quanto ha raccolto gli ultimi dati sull'estinzione delle specie in gruppi di organismi molto diversi".
Crane, che non ha partecipato alla ricerca, è d'accordo sul fatto che le nuove tecnologie come il telerilevamento e altri database "non solo aumentano l'efficacia degli investimenti in conservazione, rafforzano anche il monitoraggio dei cambiamenti nel tempo del livello di biodiversità".
Quanti ne restano?
Determinare i tassi di estinzione può essere complesso, in particolare perché nessuno sa con precisione quante specie esistano. Gli scienziati hanno identificato circa 1,9 milioni di specie animali, ed è possibile che ne rimangano altri milioni ancora da descrivere. In base allo studio, esistono almeno 450.000 specie solo tra le piante.
Secondo Pimm chi si occupa di conservazione può determinare il tasso di estinzione delle specie conosciute tenendo traccia di quante spariscono ogni anno. La tecnica è simile a quella usata per stabilire il tasso di mortalità in un paese: tener traccia del numero di persone che muoiono in una data popolazione ogni anno, rapportato alla popolazione stessa. Il tasso di mortalità si calcola, tipicamente, come il numero di morti ogni mille persone all'anno.
Applicando lo stesso approccio statistico è stato possibile calcolare un tasso annuale di estinzione compreso tra le 100 e le 1.000 specie per milione. Le cause principali sono la distruzione degli habitat provocata dall'uomo e il cambiamento climatico.
Per calcolare il tasso di estinzione precedente a circa 200.000 anni fa, Pimm e i colleghi hanno esaminato i dati provenienti dai database di fossili, annotando la sparizione delle varie specie e usando tecniche statistiche per riempire le lacune. L'analisi ha rivelato che ogni anno si estingueva meno di una specie ogni milione.
Gli autori dello studio temono che il tasso di estinzione non farà che aumentare se la situazione non cambia, potenzialmente arrivando a quella che gli scienziati definiscono la sesta estinzione di massa nella storia della Terra.
Un'altra conclusione, che non può essere ignorata, è che secondo Crane "esistono ancora enormi lacune nella nostra conoscenza. Capire quante specie ci sono, dove vivono e come si modificano le popolazioni rimane di fondamentale importanza".
Secondo Jenny McGuire, ricercatrice postdoc alla University of Washington's School of Environmental and Forest Sciences, i risultati non devono sorprenderci. Anche se si può discutere sulle cifre precise, "gli scienziati generalmente si trovano d'accordo sul fatto che il tasso e il rischio di estinzione sono particolarmente elevati, e che l'accelerazione è cominciata più o meno quando gli esseri umani hanno fatto la loro comparsa".
McGuire vede il nuovo studio come un messaggio incisivo per spronare le persone ad agire per evitare che spariscano altre specie.
Pimm sottolinea l'importanza delle aree protette, "fronti della conservazione", che hanno mantenuto i tassi d'estinzione di mammiferi, uccelli e anfibi del 20% inferiori a quanto sarebbero state altrimenti. Circa il 13% della superficie terrestre ricade in aree protette, ma solo il 2% degli oceani è sottoposto a qualche forma di tutela.
Secondo Pimm e i colleghi i database globali, insieme al crowdsourcing, aiutano a riempire le lacune monitorando la biodiversità al di fuori delle aree protette, dove le specie sono studiate molto meno intensamente.
Certamente chiunque può contribuire, diventando un citizen scientist come Trouern-Trend, che si definisce parte di "una nicchia di persone che vogliono dare una mano" fornendo ai conservazionisti istantanee del nostro pianeta. "Dai funghi fino a uccelli e piante", conclude, "trovo tutto di enorme interesse".
FONTE
Molti, alla base, conoscevano Trouern-Trend come "quello che identifica le bestioline", spiega lui. Da sempre amante della natura, si trovava in Iraq nella sua seconda missione come sergente. Prima di rilasciare la rana in uno stagno limitrofo, Trouern-Trend aveva caricato la sua foto sull'app iNaturalist, che mette in collegamento una comunità di persone che in tutto il mondo riportano gli avvistamenti di piante e animali.
Proprio gli utenti di iNaturalist lo hanno così informato che si trattava di una rana arboricola della specie Hyla savignyi, mai avvistata dagli scienziati al di fuori del Kurdistan. L'areale di diffusione della specie si era improvvisamente ampliato.
Questo tipo di citizen science ha preso piede negli ultimi anni grazie agli smartphone. Ora, in base a una nuova ricerca sulla biodiversità, sta dando agli scienziati la speranza che le nuove tecnologie possano rallentare l'estinzione.
Si tratta di buone notizie, perché secondo un rapporto pubblicato il 29 maggio su Science, l'attuale tasso di estinzione è mille volte più elevato di quanto sarebbe se gli esseri umani non facessero parte del quadro.
Il leader dello studio Stuart Pimm, ecologo conservazionista alla Duke University, insieme ai suoi colleghi ha analizzato varie fonti - in particolare la Lista Rossa della IUCN, International Union for Conservation of Nature, elenco globale delle specie - per elaborare il primo rapporto completo con i dati riguardanti l'estinzione delle specie.
App per gli smartphone, dati dei satelliti GIS e crowdsourcing, spiega Pimm, potrebbero essere una parziale soluzione del problema. Attraverso queste tecnologie "stiamo mobilitando milioni di persone in tutto il mondo, e siamo in procinto di scoprire molto di più riguardo alla posizione delle varie specie". È un momento critico, spiega, perché "sappiamo dove si trovano le specie e conosciamo le minacce: nonostante la situazione sia molto sconfortante siamo in grado di gestirla un po' meglio".
Peter Crane, preside della Yale's School of Forestry and Environmental Studies, ha commentato via mail che il nuovo studio "rappresenta uno strumento prezioso, in quanto ha raccolto gli ultimi dati sull'estinzione delle specie in gruppi di organismi molto diversi".
Crane, che non ha partecipato alla ricerca, è d'accordo sul fatto che le nuove tecnologie come il telerilevamento e altri database "non solo aumentano l'efficacia degli investimenti in conservazione, rafforzano anche il monitoraggio dei cambiamenti nel tempo del livello di biodiversità".
Quanti ne restano?
Determinare i tassi di estinzione può essere complesso, in particolare perché nessuno sa con precisione quante specie esistano. Gli scienziati hanno identificato circa 1,9 milioni di specie animali, ed è possibile che ne rimangano altri milioni ancora da descrivere. In base allo studio, esistono almeno 450.000 specie solo tra le piante.
Secondo Pimm chi si occupa di conservazione può determinare il tasso di estinzione delle specie conosciute tenendo traccia di quante spariscono ogni anno. La tecnica è simile a quella usata per stabilire il tasso di mortalità in un paese: tener traccia del numero di persone che muoiono in una data popolazione ogni anno, rapportato alla popolazione stessa. Il tasso di mortalità si calcola, tipicamente, come il numero di morti ogni mille persone all'anno.
Applicando lo stesso approccio statistico è stato possibile calcolare un tasso annuale di estinzione compreso tra le 100 e le 1.000 specie per milione. Le cause principali sono la distruzione degli habitat provocata dall'uomo e il cambiamento climatico.
Per calcolare il tasso di estinzione precedente a circa 200.000 anni fa, Pimm e i colleghi hanno esaminato i dati provenienti dai database di fossili, annotando la sparizione delle varie specie e usando tecniche statistiche per riempire le lacune. L'analisi ha rivelato che ogni anno si estingueva meno di una specie ogni milione.
Gli autori dello studio temono che il tasso di estinzione non farà che aumentare se la situazione non cambia, potenzialmente arrivando a quella che gli scienziati definiscono la sesta estinzione di massa nella storia della Terra.
Un'altra conclusione, che non può essere ignorata, è che secondo Crane "esistono ancora enormi lacune nella nostra conoscenza. Capire quante specie ci sono, dove vivono e come si modificano le popolazioni rimane di fondamentale importanza".
Secondo Jenny McGuire, ricercatrice postdoc alla University of Washington's School of Environmental and Forest Sciences, i risultati non devono sorprenderci. Anche se si può discutere sulle cifre precise, "gli scienziati generalmente si trovano d'accordo sul fatto che il tasso e il rischio di estinzione sono particolarmente elevati, e che l'accelerazione è cominciata più o meno quando gli esseri umani hanno fatto la loro comparsa".
McGuire vede il nuovo studio come un messaggio incisivo per spronare le persone ad agire per evitare che spariscano altre specie.
Pimm sottolinea l'importanza delle aree protette, "fronti della conservazione", che hanno mantenuto i tassi d'estinzione di mammiferi, uccelli e anfibi del 20% inferiori a quanto sarebbero state altrimenti. Circa il 13% della superficie terrestre ricade in aree protette, ma solo il 2% degli oceani è sottoposto a qualche forma di tutela.
Secondo Pimm e i colleghi i database globali, insieme al crowdsourcing, aiutano a riempire le lacune monitorando la biodiversità al di fuori delle aree protette, dove le specie sono studiate molto meno intensamente.
Certamente chiunque può contribuire, diventando un citizen scientist come Trouern-Trend, che si definisce parte di "una nicchia di persone che vogliono dare una mano" fornendo ai conservazionisti istantanee del nostro pianeta. "Dai funghi fino a uccelli e piante", conclude, "trovo tutto di enorme interesse".
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