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I leoni uccidono i cuccioli, ma mai i propri figli. Ecco quello che accade. I leoni maschi uccidono i piccoli della propria specie, ma tale comportamento non viene mai compiuto ai danni dei propri cuccioli. Quando uno o più giovani maschi conquistano un gruppo di femmine, infatti, uccidono tutti i cuccioli in quanto figli dei capibranco appena spodestati. Questo accade perché le leonesse, una volta persi i propri cuccioli, possono entrare in estro nel giro di poco tempo, consentendo l’accoppiamento con il nuovo capobranco e la prosecuzione della sua linea genetica. Altrimenti, le femmine non sarebbero sessualmente ricettive fino alla conclusione dell’allevamento, che avviene quando i piccoli raggiungono l’età di due anni. FONTE
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Cinquecento chilometri in linea d'aria tra Namibia e Botswana: è il record africano stabilito da un branco di zebre di Burchell. Le migrazioni sono fondamentali per l'equilibrio degli ecosistemi e sempre più minacciate dalle infrastrutture Zebre di Burchell (Equus quagga) migrano attraverso il Parco Nazionale del Chobe, in Botswana. Nei territori selvaggi dell'Africa la presenza di cibo e acqua è collegata all'alternanza delle stagioni: ecco il motivo delle migrazioni degli animali. La migrazione più massiccia conosciuta finora è quella che avviene nella piana del Serengeti: milioni di animali (tra cui almeno 750 mila zebre e più di un milione di gnu, oltre a gazzelle e orici) che si spostano dall'area del cratere di Ngorongoro, nel sud della Tanzania, fino alla riserva Masai Mara in Kenya, facendo ritorno durante la stagione delle piogge. Un gruppo di scienziati ha scoperto di recente qual è lo spostamento più lungo tra i mammiferi africani: come riporta un articolo sulla rivista Oryx, un branco di qualche migliaio di zebre di Burchell (Equus quagga) copre ogni anno quasi 500 chilometri in linea d'aria, tra la Namibia e il Botswana. Questa migrazione è stata osservata ormai per diversi anni consecutivi: il record non riguarda la lunghezza del viaggio in sé (nel Serengeti gli animali compiono giri più lunghi e quindi percorrono più chilometri) ma la distanza senza precedenti tra il punto di partenza e quello di destinazione. Un viaggio in linea retta "Un simile percorso nord-sud, senza deviazioni o errori nella direzione, è inusuale", commenta Robin Naidoo, responsabile scientifico per la conservazione del WWF. "È stata una grande sorpresa sia per gli studiosi che hanno preso parte alla ricerca, sia per chiunque si occupi di conservazione della fauna selvatica in questa regione. Nessuno sapeva che si svolgesse una migrazione di questa scala e su distanze simili". Naidoo spiega che il comportamento delle zebre aveva attirato l'attenzione di un team composto da scienziati del WWF e addetti del Ministero dell'ambiente e del turismo della Namibia. "Gli animali comparivano sulle piane alluvionali della Salambala Conservancy durante la stagione asciutta, quando potevano trovarvi fonti d'acqua permanenti, per poi sparire durante la stagione delle piogge". La sorpresa è stata scoprire che si trattava delle stesse zebre che i biologi di Elephant Without Borders avevano munito di collari satellitari lungo il fiume Chobe, in Botswana. Quando i due gruppi di ricerca hanno unito le forze, si sono resi conto dell'impressionante distanza percorsa dagli animali. "Le nostre prime ricerche avevano suggerito che ci fossero altre destinazioni possibili per la stagione delle piogge, più vicine alle aree dove le zebre trascorrono la stagione secca. E però non andavano lì", racconta Naidoo. Perché non avrebbero dovuto optare per un viaggio meno impegnativo? Studi su altri mammiferi migratori hanno mostrato che intere generazioni di animali tendono a mantenere gli stessi corridoi di spostamento. Ad esempio, spiega l'ecologo specializzato in ungulati Mark Hebblewhite, dell'Università del Montana, "abbiamo scoperto che negli Stati Uniti occidentali l'antilocapra migra lungo lo stesso percorso da oltre 6.000 anni. Si tratta probabilmente di un fattore che non deriva solo dalla conformazione del paesaggio, bensì dalla trasmissione delle conoscenze tra animali sociali". Secondo Naidoo questa tradizione potrebbe avere anche basi genetiche. Saranno comunque necessari anni di monitoraggio per scoprire quale sia la ragione che muove le zebre e "determinare se ogni anno percorrano effettivamente lo stesso tragitto andando nella medesima direzione". Qualche deviazione Un'altra lunga migrazione di zebre, come riporta uno studio del team della biologa Hattie Bartlam-Brooks dell'Università di Bristol, si era interrotta per circa 20 anni a causa della presenza di recinzioni; quattro anni dopo la rimozione delle strutture, gli animali hanno ricominciato a muoversi sul vecchio percorso. "Sono riusciti a riprendere una migrazione storica, e nel giro di due anni seguivano già una ben precisa direzione", commenta Bartlam-Brooks. "Penso che questo dimostri che le zebre possono adattarsi e sono in grado di rispondere ai cambiamenti delle rotte di migrazione, nonostante il prezzo pagato dalla popolazione per riuscirvi sia piuttosto elevato". Studiare le migrazioni non è solo un modo per nutrire la curiosità degli scienziati. "Capire come gli animali prendono decisioni individuali ha un gran valore dal punto di vista della conservazione", spiega Hebblewhite. "Il declino delle specie migratorie avviene a livello globale: se scopriamo cosa li porta a interrompere gli spostamenti, possiamo intervenire". Questi studi forniscono anche molti indizi per indirizzare l'istituzione di aree protette. La nuova migrazione delle zebre ha interamente luogo all'interno dei confini di un'area tutelata, conosciuta come Kavango-Zambezi Transfrontier Conservation Area (KAZA), che con i suoi 440.000 chilometri quadrati è la più ampia area di conservazione transfrontaliera del mondo. Altri percorsi migratori, tuttavia, possono attraversare territori in cui è costante l'attività venatoria, l'habitat è stato distrutto o villaggi, fattorie, recinti e altre infrastrutture sono sempre più diffusi. Quando tali fenomeni bloccano i corridoi di migrazione, è l'intero ecosistema a soffrirne. Ed è per questo che limitarsi a proteggere alcune zone, come spesso hanno fatto le operazioni di conservazione in passato, non è sufficiente. Secondo Jeffrey Parrish del WWF, "la fauna selvatica, come queste zebre, deve avere la libertà di spostarsi tra zone protette, a volte anche attraverso confini nazionali. Si tratta di una questione particolarmente importante perché il cambiamento climatico ha modificato gli habitat, forzando la fauna selvatica migratoria -e anche quella che normalmente non migra- a spostarsi, mentre il loro ambiente naturale scompare". Migrazione come connessione Oltre a permettere agli animali di sopravvivere alle stagioni meno favorevoli, qual è l'importanza di questi spostamenti? "Le migrazioni permettono alle specie di raggiungere densità più elevate di quanto potrebbero fare senza i corridoi di spostamento, e in habitat differenti", spiega Hebblewhite, che le paragona alle connessioni che avvengono nel cervello. "Sappiamo che la forza della biodiversità deriva dai legami tra le specie stesse, e la migrazione è uno dei meccanismi più importanti per mantenerli. Perdendo le migrazioni perdiamo il collegamento tra ecosistemi, specie e processi naturali". Il team di Naidoo concorda sul fatto che i corridoi naturali sono fondamentali per la sopravvivenza dei grandi mammiferi africani che li percorrono, e per l'ambiente naturale stesso. "Aree protette come il KAZA sono necessarie per preservare questi fenomeni ecologici su larga scala", spiega Naidoo. Per quanto riguarda le zebre, "la gestione dell'area sarà un fattore chiave per riuscire a mantenerla com'è ora". Parrish del WWF aggiunge che è importante capire che "proteggere i corridoi non significa isolarli. Significa, nel gestire il territorio, lasciare alla fauna selvatica la libertà di muoversi, sia che questo comporti proteggere in toto un percorso migratorio, sia che preveda solamente la sua gestione in funzione degli spostamenti degli animali". A parte le problematiche di gestione del territorio, secondo Bartlam-Brooks la scoperta di migrazioni "nuove" rimane affascinante, in particolare perché non abbiamo ancora compreso del tutto il perché gli animali facciano quello che fanno. "Le zebre individuano la strada da percorrere attraverso centinaia di chilometri di arida pianura, apparentemente priva di tratti distintivi", commenta. "È piuttosto stupefacente, se pensiamo che fanno quel viaggio solamente due volte l'anno. Noi ci affideremmo a mappe, segni, GPS, e rischieremmo comunque di perderci!". "Scoperte come queste", conclude Naidoo, "ci ricordano che la natura, al giorno d'oggi, ha ancora molte sorprese in serbo per noi". FONTE I mammiferi rispondono in modo istintivo ai pianti dei cuccioli di altre specie (se sono mammiferi). È il risutlato di un curioso esperimento che ha dimostrato che una femmina di cervo accorre anche se sente piangere un cucciolo di foca. Il cervo mulo (Odocoileus hemionus) non è insensibile al pianto, che sia quello di un suo piccolo o di un altro mammifero. Una mamma cervo accorre quando sente il pianto di un cucciolo di foca? Sì, e lo fa anche se a piangere è un piccolo di marmotta, di cane o di uomo. Lo hanno scoperto i biologi Susan Lingle dell’Università di Winnipeg (Canada) e Tobias Riede dell’Università di Glendale (Arizona). Obiettivo della loro ricerca era verificare se i richiami d’aiuto o di stress che emettono i cuccioli di una specie sono comprensibili alle femmine di una specie diversa. Le mamme cervo si sono avvicinate a 10 metri dai registratori che diffondevano i pianti di cuccioli di foca (a sinistra) e marmotta (a destra). Cervi amorevoli. Per provare la loro tesi i due studiosi hanno installato dei registratori in una zona, in Canada, dove vivono molti esemplari di cervo mulo (Odocoileus hemionus) e di cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus), animali docili e facili da studiare. Dagli apparecchi hanno trasmesso le vocalizzazioni di vari cuccioli: da quelli delle rispettive specie di cervi a quelli di marmotta, foca, gatto, pipistrello, esseri umani e altri mammiferi. Pianto universale. I risultati, pubblicati sulla rivista The American Naturalist, sono stati soprendenti: le mamme cervo sono sensibili ai richiami dei piccoli anche se non appartengono ai cuccioli della loro specie. I ricercatori hanno osservato che gli esemplari si avvicinavano alla fonte del suono quanto più la frequenza acustica dei lamenti era compresa nel range di quella dei loro piccoli. Mammiferi uniti. Lo studio suggerisce che nel pianto dei cuccioli ci sia un’impronta acustica comune, condivisa tra le diverse specie di mammiferi - alcune delle quali separate da più di 90 milioni di anni di evoluzione - e che molte mamme mammifere sono in sintonia con questo elemento comune. Questo spiegherebbe anche perché gli esseri umani, nella maggior parte dei casi, non rimangono insensibili quando sentono il lamento di un piccolo di cane, di gatto o di maiale. Perché lo fanno? È probabile che i mammiferi si siano evoluti per rispondere rapidamente, piuttosto che con attenzione, alle situazioni di pericolo per i cuccioli. «Il vantaggio di assicurare la sopravvivenza per la tua prole supera il potenziale di errore» spiega infatti Lingle. FONTE Di certo ha a che fare con le funzioni dell’udito e forse anche della vista; un po’ come le persone miopi che strizzano gli occhi per vedere meglio. Gli studi comportamentali hanno comunque messo in evidenza che non sempre i cani inclinano la testa quando ci si rivolge loro. Prevalentemente lo fanno quando l’interlocutore è a una distanza superiore a 1,2 m e al di sopra della loro testa. Inoltre questo tipo di reazione si verifica quasi nel 100% dei casi se il tono di voce dell’interlocutore è interrogativo. Proprio come accade a volte agli umani. FONTE Per il felino di casa siamo scimmioni grandi, grossi e troppo espansivi, che strillano senza motivo: le sue abilità sociali sono molto diverse dalle nostre, più simili a quelle dei cani. Ecco come ovviare alle più frequenti incomprensioni. Ancora coccole? Stai scherzando? Lo nutriamo, coccoliamo, rimproveriamo, ospitiamo nel letto; ma lui sembra evitarci, snobbare le nostre carezze, e cercarci solo all'ora di cena. Vi è mai capitato di pensare che il vostro gatto non vi capisca? Il felino di casa potrebbe provare la stessa identica frustrazione nei vostri confronti. DUE LINGUE DIVERSE. Micio fa molta fatica a comprendere il nostro comportamento e il più delle volte ci teme, come sostenuto da Tony Buffington, veterinario della Ohio State University, in una recente intervista. Non è colpa nostra e nemmeno sua: dipende dalla profonda diversità delle nostre abitudini sociali. PIU' VICINI A FIDO. L'uomo usa il linguaggio, le espressioni facciali, il contatto fisico e i feedback altrui per apprendere e rapportarsi con l'esterno. Un sistema più affine alla comunicazione canina che a quella felina: una forma di espressione che genera, nei gatti, confusione, paura e istintive reazioni di difesa. MA E' MATTO? Prendiamo il classico e detestato vizio felino di farsi le unghie sul divano. Potete dirgli che non si fa, richiamarlo all'ordine, urlare, portarlo di peso in un'altra stanza, e il gatto vi guarderà perplesso: ai suoi occhi, in quei momenti, apparirete come uno stupido scimmione che blatera cose senza senso. Non è che non voglia ascoltarvi: piuttosto, non capisce come collegare il vostro comportamento a quello che sta facendo. PROVA QUI. Senza le abilità cognitive di capire perché vi ostinate ad interrompere una normale attività felina come quella di affilarsi gli artigli, Micio accumulerà frustrazione che metterà a rischio la sua salute. E continuerà a graffiare il divano quando non lo vedete. Meglio allora proporgli alternative più allettanti, come pezzi legno e tessuto trasformati in tiragraffi da posizionare vicino ai suoi mobili preferiti. TU NON LO SENTI, LUI SI. Dimentichiamo poi spesso che i nostri sensi sono assai diversi da quelli del nostro amico felino. Posizionare la sua ciotola del cibo vicino al frigorifero o alla lavastoviglie potrebbe costringerlo a mangiare con uno spaventoso ronzio di sottofondo. Non lo sentite? Per il micio di casa siete un po' sordi. Se proprio non avete altri luoghi utili dove posizionarlo, offrite al gatto una via d'uscita, uno spazio rialzato dove fuggire in caso avesse paura. GIU' LE MANI! Arriviamo al capitolo contatto fisico. Vi farebbe piacere se il vostro coinquilino continuasse ad abbracciarvi, accarezzarvi i capelli, massaggiarvi la pancia, grattarvi la schiena? Neanche il gatto apprezza questo genere di convenevoli. Se vi mostra la pancia, è per dimostrarvi fiducia, non per incoraggiarvi a una grattatina. Anche la base della coda è fortemente innervata: continuare ad accarezzarla equivale a fare il solletico al povero micio, che potrebbe manifestare reazioni di stizza. Meglio cogliere i segnali lanciati dal gatto, e accarezzarlo nelle parti del corpo che strofina contro la nostra gamba. E senza esagerare. MEGLIO SOLI... Anche la convinzione che in casa, i gatti stiano bene con altri gatti, potrebbe essere più radicata in noi che nei felini in questione. In fin dei conti i gatti selvatici conducono una vita piuttosto solitaria: meglio non costringere il micio a socializzare, se non si dimostra convinto. E prima di lasciarlo alla meritata solitudine, consolidare qualche piccolo rituale di saluto, per fargli capire che stiamo uscendo. Lo aiuterà ad affrontare le ore che lo separano dal nostro ritorno. Perché in fondo, a noi tiene moltissimo, anche se lo dimostra in un modo tutto suo. FONTE Come il dente del narvalo, questa protuberanza da sempre incuriosisce gli scienziati: serve a catturare le prede o ad aumentare l'idrodinamicità? La risposta arriva in un video. Il rostro permette al pesce vela dell'Atlantico (Istiophorus albicans) di attaccare i banchi di sardine servendosi dell'effetto sorpresa: quando si infila tra i pesci non viene notato, e grazie alla sua furtività e velocità ne risulta un attacco molto potente, non volto a forare una singola preda ma a colpirne, squarciandole, molte. Lo racconta un nuovo studio su Proceedings of the Royal Society. Il rostro è una struttura lunga e piuttosto sottile, e riesce a passare inosservato nell'acqua in quanto la muove appena, creando un disturbo minimo e poco percettibile dagli altri pesci. Finora le teorie sulla sua funzione variavano parecchio, da strumento di caccia ad ausilio alla forma idrodinamica dell'animale, che ad oggi detiene il record ittico di velocità in quanto raggiunge i 110 chilometri orari, con quasi tre metri di lunghezza corporea. Con lo studio del team dell'ecologo Jens Krause, che ha filmato questi straordinari animali all'opera, la funzione del rostro è stata infine rivelata. Grazie alla sua peculiare vela, l'Istiophorus albicans riesce a impedire la fuga delle prede: le raduna invece in gruppi sui quali poi concentra l'attacco insieme ai suoi compagni di caccia, ferendo e indebolendo il maggior numero possibile di pesci con il rostro. Virtualmente, spiegano i ricercatori, ogni individuo nel banco di pesci preso di mira viene ferito in una certa misura. La vela, inoltre, permette al pesce vela di rimanere stabile mentre muove il rostro, fendendo l'acqua a grande velocità (con un'accelerazione che raggiunge i 131 metri al secondo per secondo) in mezzo ai banchi di sardine. E se ne scappa qualcuna? Le prede fuggitive vengono inseguite e ingoiate intere, svelando il mistero di tutti quei pesci senza alcuna ferita rinvenuti nello stomaco dei pesci vela in passato. Come racconta Krause, una nuotata insieme ai pesci vela non è propriamente un'esperienza rilassante, soprattutto perché cacciano in gruppo, fino a 40 animali. Tuttavia si muovono in maniera cauta e precisa, evitando ogni tipo di contatto con entità estranee e agendo a turni, presumibilmente per non rischiare di ferirsi a vicenda. FONTE Uno studio dimostra dunque che questi animali non rispondono ai propri proprietari perché non hanno avuto necessità degli umani durante il processo evoluzionistico. I gatti riconoscono la voce dei propri padroni, anche se non sembra. Semplicemente la ignorano. Secondo uno studio dell’Università del Giappone, i gatti avrebbero questo atteggiamento a causa del modo in cui si sono evoluti. Questi animali sarebbero infatti in grado di «addomesticare» sé stessi e quindi non hanno avuto bisogno di basarsi sui comandi umani, nel corso dei secoli. Lo studio dimostra dunque che questi animali non rispondono ai propri proprietari perché non hanno avuto necessità degli umani durante il processo evoluzionistico. Dagli esperimenti condotti da Atsuko Saito e Kazutaka Shinozuka è emerso che i gatti, di fronte a una chiamata del loro padrone, muovevano la testa nella direzione della voce e drizzavano le orecchie. Tuttavia, sceglievano di non rispondere ad essa. «Quando erano chiamati da estranei - precisano gli scienziati - si mostravano tuttavia ancora meno reattivi». Lo studio ha testato le reazioni di una ventina di gatti, analizzando le risposte misurando movimenti, vocalizzazione e dilatazione degli occhi. L’indifferenza del gatto risiederebbe nella primissima domesticazione della specie. «Storicamente, i gatti a differenza dei cani sembrerebbero non essere stati addomesticati per obbedire agli esseri umani. Piuttosto - hanno concluso gli scienziati - sembrano loro a prendere l’iniziativa nell’interazione uomo-gatto». FONTE Capita a molti proprietari, almeno una volta nella vita, di porsi questa domanda: perché il cane sotterra ossa, cibo, ciabatte e tutte le altre cose morbide e meno morbide, commestibili e non, che gli capitano tra i denti? Il motivo di questo comportamento del cane è da ricercarsi nella natura stessa del cane ovvero nel suo patrimonio genetico. Il cane non è sempre vissuto allo stato domestico, ma discende da cani che vivevano allo stato selvatico e che in quanto carnivori cacciavano diversi tipi di prede per poter sopravvivere.
A volte la selvaggina scarseggiava ed era necessario attingere alle scorte di cibo immagazzinate in tempi di vacche grasse. Il cane, da brava formichina, sotterrava ossa, resti di carcasse e carne che d’inverno, sotto lo strato di gelo e neve, si mantenevano alla perfezione, proprio come nelle nostre celle frigorifere. In questo modo, all’occorrenza, il cane disseppelliva la carne e le ossa nascoste e poteva contare su una riserva personale di cibo, ben nascosta e che riusciva a localizzare con un gps infallibile: il suo fiuto e la sua memoria d’acciaio. Il cane scavava buche per seppellire la selvaggina anche quando non riusciva a mangiarla tutta in un solo pasto, in quanto troppo abbondante, un po’ come facciamo noi conservando gli avanzi del cibo dopo un lauto pranzo. Oggi i nostri cani hanno cibo a sufficienza e non cacciano più, se non raramente per diletto, a differenza dei gatti che sono rimasti abili cacciatori. Eppure il cane domestico continua a conservare memoria dei tempi antichi e crea delle vere e proprie fosse comuni in cui seppellisce le ossa e altre prede, per poi però dimenticarsene perché non gli serviranno, non soffrendo mai la carenza di cibo. A volte le ciabatte morbide, i capi d’abbigliamento ricoperti di pelo, gli ricordano da vicino le carcasse di una preda ed è il motivo per cui i nostri cani ci fanno sparire scarpe ed altre suppellettili morbide sotterrandole nelle loro fosse comuni. Solitamente il cane sotterra l’osso, quando ne ha a disposizione, più che altri tipi di cibo e c’è una ragione precisa per questo. Le ossa delle prede, ricche di midollo, erano piene di sostanze nutritive e avevano il vantaggio di conservarsi a lungo in buono stato. In questo modo il cane poteva contare su una scorta di ossa nutrienti, da sgranocchiare in caso di carenza di carne fresca. Anche i lupi e le volpi, come i cani, hanno l’abitudine di seppellire le ossa. Gli scoiattoli, invece, accumulano le nocciole per l’inverno, mentre il cammello immagazzina acqua nel corpo. Sono tutti comportamenti riconducibili alla stessa esigenza di accumulare scorte per i tempi di magra. Meglio dunque non sgridare il cane per quello che è un comportamento assolutamente naturale. FONTE La stirpe più potente della terra? La dinastia Miao, l’unica che riesce a prendere il controllo persino sugli umani dal cuore di pietra. Quando il nostro gatto miagola ci tiene in pugno e riesce ad ottenere quello che vuole, modulando la voce per toccare le corde della nostra anima. Del potere e del fascino che riescono ad esercitare i gatti su noi umani ne abbiamo prova ogni giorno. Se non bastasse la certezza empirica, ne troviamo evidenza anche in uno studio scientifico condotto dalla dotteressa Karen McComb, afferente all’Università del Sussex.
La ricercatrice ha scoperto che il gatto ci tiene in pugno con un particolare tipo di miagolio che include un verso lamentoso e supplichevole, simile ad un pianto, misto alle fusa. Le fusa, infatti, non indicano soltanto piacere quando il micio riceve le coccole. Abbiamo visto in precedenza quanti significati possono assumere le fusa. Ebbene, tra questi, figura anche la richiesta di cibo, di attenzioni, di aprire la porta del giardino e così via. Il gatto miagola con tono lamentoso e tenero allo stesso tempo perché ha imparato, nel corso della sua lunga storia di convivenza con il genere umano, che noi umani non riusciamo a resistere al miagolio supplichevole e insistente. Il gatto non miagola ad alta voce ma preferisce usare un tono più basso, con miagolii intervallati da pochi secondi di silenzio, e fusa. Questo perché sa che se miagolasse troppo forte verrebbe allontanato dalla stanza e susciterebbe irritazione, mentre i lamenti flebili misti alle fusa sollecitano la nostra risposta e ci portano ad esaudire le sue richieste. Non a caso, il meccanismo che ci spinge a soddisfare le richieste del gatto, quando ascoltiamo questo tipo di miagolio, è lo stesso che ci porta a nutrire un neonato quando piagnucola e reclama le nostre attenzioni e le nostre cure. Spesso i gatti fanno le fusa e miagolano flebilmente quando vengono a svegliarci al mattino. La McComb non esita a definire questo tipo di miagolio “manipolativo”. La ricercatrice ha esaminato le reazioni di 50 proprietari a questo tipo di miagolio, scoprendo che è più efficace rispetto a miagolii non accompagnati da fusa o meno lamentosi. I gatti tendono ad usare questo tono quando hanno un rapporto stretto ed esclusivo con il proprietario, mentre nelle case con più gatti i mici, sapendo che questo miagolio passerebbe inosservato, non lo usano. Questo a testimoniare la consapevolezza che i mici hanno delle opportunità che si presentano e del mezzo che vale la pena usare o non usare, per vedere soddisfatte le loro richieste. FONTE Sei tipi differenti di vocalizzazioni per i pinguini del Capo, che vivono sulle coste meridionali dell’Africa Anche i pinguini hanno un loro particolare linguaggio. Lo hanno scoperto ricercatori dell’Università di Torino guidati da Livio Favaro studiando il pinguino del Capo (Spheniscus demersus), specie che non vive in Antartide ma sulle coste del Sudafrica e della Namibia dove si tuffa nelle fredde acque dell’oceano. Il piccolo pinguino africano, una specie minacciata di estinzione, ha ben sei tipi di vocalizzazione, con i quali esprime vari sentimenti tra i quali «fame», «rabbia» e «solitudine». Sei tipi di vocalizzazione
Delle sei vocalizzazioni, quattro sono esclusive degli esemplari adulti, mentre due appartengono agli animali più giovani e ai pulcini. Analizzando i vocalizzi di un gruppo di pinguini in cattività, Favaro e il suo gruppo hanno scoperto che i pinguini adulti hanno un particolare tipo di suono per esprimere il «distacco» e il «senso di isolamento» dal gruppo, vocalizzi che sono stati chiamati «grida di contatto». Suoni che sono differenti da quelli che invece utilizzano nel corso di confronti o lotte con gli altri esemplari. Suoni che sono ancora diversi da quelli espressi durante l’accoppiamento o quando la coppia forma un «duetto» nel corso della nidificazione. Le voci dei pulcini I più piccoli, invece, esprimono i loro vocalizzi legati soprattutto alla domanda di cibo. Spiega Favaro: «Hanno due distinti suoni: il primo più corto che esprime la domanda di cibo nei confronti degli adulti, il secondo di “preghiera” quando si trovano fuori dal nido ma cercano ancora cibo dagli adulti». La ricerca è durata 104 giorni, durante i quali la squadra di ricercatori ha registrano una serie di video dei 48 pinguini presenti allo zoo di Torino. La ricerca è stata pubblicata il 30 luglio sulla rivista scientifica specializzata PlosOne. FONTE http://www.corriere.it/scienze/14_luglio_31/pinguini-scoperto-loro-linguaggio-segreto-5de025a4-189a-11e4-a9c7-0cafd9bb784c.shtml |
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